Non si tratta di un “brain drain” (ossia di cervelli che vanno dove si può studiare meglio e si dispone dei laboratori migliori), ma di una “grande fuga”, documentata dal 41esimo rapporto Censis (che viene presentato il 7 dicembre al Cnel) per quanto riguarda l’Italia e da un’inchiesta sui Paesi scandinavi, la cui pubblicazione è iniziata sull’International Herald Tribune (IHT) del 6 dicembre.
I giovani preparati (non solamente coloro con ambizioni scientifiche o manageriali) scappano alla grande dai Paesi dove le tasse sono più elevate dei salari netti in busta paga e vanno o verso Paesi dell’Ue (è in atto la piena libertà di circolazione e residenza) dove le tasse sono basse e gli assegni a fine mesi alti oppure se ne vanno fuori dall’Ue, alla ricerca di opportunità migliori nel Nord America od in Asia.
Si perdono in questo modo le energie migliori, le classi di età più predisposte al rischio ed all’investimento di lungo periodo. Con le implicazioni che si possono immaginari in termini di produttività e competitività. Alcuni Paesi europei (Italia in primo luogo) si ingrigiscono e si intristiscono. Mentre altri ottengono i benefici delle spese in istruzione e formazione effettuate dai primi. In Italia il fenomeno si è aggravato da quanto Romano Prodi è a Palazzo Chigi e l’accoppiata TPS (Tommaso Padoa-Schioppa) VVV (Viceministro Vincenzo Visco) tenta di tassare pure l’intassabile.
I dati elaborati dal Censis sono eloquenti: nel 2006, in appena 12 mesi, il numero di italiani che ha trasferito la propria residenza all’estero è aumentato del 15,7% rispetto all’anno precedente e del 52,3% rispetto al 2002 (quando il fenomeno già in fase iniziale è stato arrestato dalla promessa di minore peso fiscale-contributivo , maggiore flessibilità e crescita più sostenuta). Nel 2006, 75.230 italiani hanno preso la residenza all’estero, aggiungendosi ai 3.560.000 che, secondo il Ministero dell’Interno, vivevano al di fuori dei confini patri già nel 2005.
Interessante il profilo: il 42% di coloro che, nel 2006, hanno chiesto la cancellazione dall’anagrafe ha meno di 34 anni. Se ne vanno molti laureati che hanno fatto un’esperienza di studio all’estero (il 30% circa del totale di cui il 15% per più di tre mesi). Per molti il lavoro e la residenza all’estero è la conseguenza normale del completamento negli studi in un istituto straniero: tra quanti hanno frequentato il programma Erasmus il 16% ha un’occupazione all’estero ad un anno dalla laurea.
Molti laureati che espatriano provengono da facoltà di lettere e lingue (il 35% del totale)- aree di studio prive di sbocchi in Italia- o da facoltà economico-statistiche (il 28%) dove l’estero offre opportunità specialmente in finanza. In media le retribuzioni in busta paga (al netto di imposte e contributi) si aggirano, per i laureati, sui 1.300 euro al mese in Italia (il 25%, però, percepisce meno di 1.000 euro al mese) e sui 1.700 euro al mese in gran parte dell’Ue a 15.
Mancano dati sui trasferimenti in Asia. Tuttavia, nel solo 2006, 13.368 italiani considerati “altamente qualificati” dalle autorità Usa hanno chiesto, ed ottenuto, visti di trasferimento permanente per ragioni di lavoro negli Stati Uniti – un fenomeno nuovo rispetto al recente passato.
Meno quantitativa, e più giornalistica, l’inchiesta dell’IHT che punta sulla Danimarca, dove il tasso di disoccupazione è frizionale e la crescita economica, nel 2006, è stata del 3,5%. La “flexsecurity” costa: comporta un imposta sul reddito il cui scaglione più elevato giunge al 63%. Secondo la Confindustria danese la forza lavoro del Paese è diminuita di 19.000 persone che hanno emigrato altrove per sfuggire il peso di fisco e contributi. Altre stime affermano che tasse ed affini mettono in fuga 1.000 danesi l’anno.
Secondo l’Ocse, se le cose non cambiano, la popolazione del piccolo Regno diminuirà dell’1% l’anno: i danesi sono plurilingui e si adattano bene a culture differenti. Molte aziende danesi danno lavoro a concittadini all’estero , specialmente in Paesi come i nuovi membri dell’Ue dove si applica una “flat tax” bassa.
Siamo alla fiere delle tasse (ciascuno può scegliersi il regime tributario che preferisce) anche all’interno dell’Ue.
Le giovani generazioni lo hanno chiaro e netto. Forse TPS-VVV sono troppo anziani per metabolizzarlo. Hanno superato l’età della pensione: sarebbero più produttivi ai giardinetti di quartiere a badare ai nipotini.
06 Dicembre 2007 fuga di cervelli giovani Italia tasse Commenta Email Condividi
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