Komische Oper Berlino
L’AMORE DELLE TRE MELARANCE
Opera in un prologo e quattro atti di Seghei S. Prokofief
(in traduzione ritmica in tedesco)
Dei tre principali teatri d’opera di Berlino (in certi periodi dell’anno ne funzionano ben sei, in parallelo) la Komische Oper non mette in scena esclusivamente opere comiche od operette ma anche teatro in musica drammatico ( sono in calendario in questi giorni “Rigoletto” e “Madama Butterfly”) ma ha una caratteristica: le rappresentazioni sono sempre in tedesco – in traduzione ritmica se l’originale è in un’altra lingua. Inoltre, in questi ultimi anni, si è fatta la reputazione di un teatro con allestimenti molto trasgressivi: ambientazione portata ai giorni nostri, nudi integrali e rapporti erotici espliciti. Ad esempio, l’allestimento del “Ratto dal Serraglio” si svolge in un bordello in pieno conflitto tra terroristi di varie parti del mondo (unicamente Belmonte non mostra le proprie zone intime) e nel finale del primo atto di “Madama Butterfly” (per intenderci il Bimba dagli occhi pieni di malia) Pinkerton si fa masturbare dalla giapponesina.
Come tutti i teatri di repertorio tedeschi, ha una propria compagnia stabile (con contratti e maestri concertatori con scritture triennali), mette in scena sei differenti opere la settimana e gli allestimenti restano in cartellone per diversi anni (ogni anno si hanno dalle cinque alle dieci repliche; molte di più per quelli di grandi successo). A poche centinaia di metri ad est della Porta di Branderburg, il teatro è inscatolato in un’architettura di vetro colorato e ferro in stile Anni 50- la facciata originale è andata distrutta. L’interno racchiude una bomboniera barocca di circa 700 posti con un ordine di palchi ed una galleria; l’acustica è perfetta. I posti migliori costano 40 euro, ma si ascolta e si vede bene anche da quelli che hanno un prezzo di soli 8 euro.
“L’amore delle tre melarance” è una delle prime opere di Prokofief effettivamente concepite per la scena. Il nostro aveva già scritto il libretto e composto la musica de “Il Gigante” quando aveva nove anni. Aveva tentato di nuovo l’opera quando era studente al Conservatorio di San Pietroburgo con un drammone in un atto “Maddalena” e provato ancora con “Il Giocatore” che lo mise in contatto con Wsewolod E. Meyerhood, allora (negli Anni 20) uno dei leader della scuola anti-naturalistica non soltanto russa ma europea. Fu Meyerhood a suggerirgli di provare un percorso innovativo prendendo spunto dai lavori, assolutamente anti-naturalistici, di Carlo Gozzi ed in particolare da “L’amore delle tre melarance” di cui aveva curato un allestimento teatrale nella San Pietroburgo pre-rivoluzionaria. Con l’avvento del nuovo regime, Prokofief scappò dalla Russia ed andò a tentare la propria fortuna all’estero. Aveva 27 anni quando a Chicago, il Sovrintendente del Teatro Lirico, Cleofonte Campanini, si interessò alle idee del giovane compositore e conclusero un contratto per la realizzazione de “L’amore delle tre melarance”. La morte di Campanini ed altre complicate vicende (tra cui il timore, ad un certo momento, che, durante una traversate transatlantica, si fosse persa l’unica copia della partitura) portarono alla rescissione del contratto. Venne, però, onorato da Mary Garden (che aveva creato il ruolo della protagonista in “Pelléas et Mélisande” di Claude Debussy) quando prese la guida del teatro della capitale dell’Illinois. Andà in scena il 30 dicembre 1921 come favola adatta al periodo festivo.
Il libretto è una satira agro-dolce, ma pungente, del potere e dei sicofanti (specialmente gli intellettuali) che lo contornano. La fiaba è situato nel Regno del Re di Coppe, di cui si prepara la successione. A personaggi consueti nel mondo delle favole (quali la Fata Morgana, le principesse che sbucano da melarance, i Primi ministri intriganti e le nipoti infedeli) si affiancano le maschere della commedia dell’arte (Pantalone, Truffaldino, Farfarello) con i loro lazzi e frizzi. Non è chiaro se Prokofief guardasse alla Russia degli Zar (appena sparita) od a quelle dei nuovi poteri sovietici (da cui restò lontano per diversi anni prima di tornare in Patria e convertirsi all’ortodossia del regime, anche in campo musicale). Ancora più ironica la partitura in cui Prokofief, con tocchi ben studiati, prende in giro l’opéra lyrique francese il musikdrama wagneriano, nonché i propri contemporanei (specialmente Debussy). Non se le prende con il melodramma verdiano ed il verismo italiano unicamente perché, dal suo punto di vista di giovane compositore del nuovo secolo, non li considerava neanche degni di ironia. Il lavoro non è però un divertissement intellettuale per eruditi. Il ritmo è velocissimo. Il jazz, il fox-trot, lo swing , le marcette si inseriscono perfettamente in arie, declamato, concertati ed interventi continui del coro. Prokofief si era proposto di creare un teatro in musica basato su fantasia, ironia, azione e divertimento, tale da poter gareggiare (presso il pubblico) con i film di Charlie Chaplin e dei Fratelli Max. Quindi, un po’ futurista ed un po’ dadaista.
L’opera viene rappresentata raramente in Italia (ne ricordo un’esecuzione in forma di concerto all’Accademia di Santa Cecilia una dozzina di anni fa) non solo perché richiede 14 solisti e numerosi cambiamenti di scena ma soprattutto perché la favole tra il cubista ed il dadaista sono sparite dai nostri teatri (anche di prosa) in quanto non si ritiene che attirino pubblico. Utile ricordare che sono spariti dai nostri cartelloni anche lavori italiani (ad esempio quelli di Gian Francesco Malipiero) più o meno dello stesso periodo. Tuttavia, proprio per il suo ritmo rapido e la sua capacità di coinvolgere il pubblico (se si entra nel gioco), “L’amore delle tre melarance” è spesso rappresentato non solo in Russia, Stati Uniti e Germania, ma anche in Francia. Ricoro una co-produzione recente del Festival di Aix en Provence e del Real di Madrid che ha girato mezza Europa, ma non si è vista in Italia.
La produzione della Komische non ha nulla di trasgressivo (anche se il libretto ne potrebbe offrire più di un’occasione). La regia di Andreas Homoki è fedele allo spirito tra il futurista ed il dadaista del giovane Prokofief. Per rendere il ritmo ancora più incalzante, il prologo e i quattro atti sono interrotti da un solo breve intervallo, la scena è unica e molto semplice (tre cornici ed un fondale che cambia colore a seconda della situazione), i costumi sgargianti e decisamente ispirati al mondo dei cartoni animati ed ai cantanti si richiede di essere non solo attori ma anche atleti. In complesso, è più efficace di quella di Aix-Real piena di castelli in cartapesta. Si ride e ci si diverte pur se non si conosce il tedesco (ma occorre avere un’ottima dimestichezza con il complicato intreccio).
Molto buona l’orchestra guidata dal giovane Mathias Foremmy; ha meno fuoco ma più brio di quella del Marinsky di San Pietroburgo diretta da Valery Giergev, nell’edizione in disco più facilmente trovabile in Italia (peraltro la sola disponibile in lingua originale – la versione ritmica dall’inglese al russo venne curata da Prokofief in persona- mentre le altre in commercio sono in francese). La Komische è – come si è detto- un teatro di repertorio con una compagnia stabile ben integrata. Nelle voci, dunque, fa premio l’affiatamento tra i numerosi solisti ed il coro, quasi sempre in scena in gruppi di dieci cantanti ( “gli eccentrici”, i “tragici”, i “comici”, i “lirici”, le “teste vuote”, i “diavoletti”, i “medici”); commentano la vicenda che si svolge nel reame e delle favole e, tranne che nel prologo (interamente corale), soltanto due o tre gruppi sono contemporaneamente sul palcoscenico. Mediamente le voci femminili sono migliori di quelli maschili: ottima la Fata Morgana di Aurelia Hayek (un contralto di caratura; spicca inoltre la Ninetta Karen Rattinghaus (deliziosa parodia di Mélisande –non dimentichiamo che è il ruolo dei primi successi di Anna Netrebko. Tra quelle maschili, spiccano i baritoni ed i bassi (specialmente il Re di Carsten Sabrowki ed il malvagio Celio di Andreas Hörl) mentre deludono i tenori (merce rara dappertutto), specialmente Cristopher Späth (l’erede al trono attorno alla cui ipocondria si svolge l’intreccio ma che in effetti ha solo un difficile duetto con Ninetta).
Komische Oper di Berlino
11 dicembre 2007
Giuseppe Pennisi
La Locandina
L’AMORE DELLE TRE MELARANCE
Opera in un prologo e quattro atti. Parole e musica di Serghei S. Prokofief
(in traduzione ritmica in tedesco di Jürgen Beythien e Eberhard Sprink)
Direzione musicale. Matthias ForemnyRegia... Andreas HomokiScene ... Frank Philipp SchlößmannCostumi.. Mechthild SeipelLuci ... Franck EvinDirezione del Coro. Peter Wodner
Fata Morgana ... Aurelia HajekCelio ... Andreas HörlIl Re... Carsten SabrowskiIl Principe ... Christoph SpäthLa Principessa Clarice . Christiane OertelLeandro ... Martin WinklerPantalone ... Herman WallénTruffaldino ... Peter RenzLa Principessa Linetta ... Mirka WagnerLa Principessa Nicoletta ... Annette WalterLa Principessa Ninetta ... Karen RettinghausSmeraldina ... Karolina GumosIl cuoco... Hans-Peter ScheideggerFarfarello ... Hans GröningL’araldo... Tobias Hagge
10 eccentrici, 10 tragici, 10 comici, 10 lirici, 10 Teste Vuote, 10 Piccoli Diavoli, 10 medici- Coro della Komische Oper
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