Decolla o non decolla la previdenza complementare in Italia? Ed i nostri fondi pensioni promettono di diventare investitori istituzionali della stazza del Calpers americano (il fondo pensione dei dipendenti pubblica della California) che , con uno suo proprio codice deontologico, incide fortemente sulle aziende in cui investe (non solo negli Usa ma anche in Asia ed adesso pure in Europa)?
Cerchiamo di rispondere a queste domande. Le statistiche più aggiornate sono quelle dell’ultima relazione annuale della Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione che, presentata circa tre mesi fa, fotografa la situazione a fine 2006 ma fornisce anche le prime indicazioni offerte dalla normativa sul trasferimento del trattamento di fine rapporto (tfr) ai fondi. Tale trasferimento (ovviamente volontario o semi-volontario) sembrava il toccasana per fare decollare i fondi, il cui impianto di base risale alla “riforma Amato” della previdenza nell’ormai lontano 1993.
Il quadro non è incoraggiante. Alla fine del 2006, gli aderenti a fondi pensione od a piani previdenziali individuali erano 3,3 milioni pari al 15% circa degli occupati e le risorse (uno stock) 54.1 miliardi di euro pari al 4% del pil (un flusso) ma meno dello 0,3% dello stock di ricchezza degli italiani. Lo dice a tutto tondo un rapporto Ocse (più recente di quello Covip): l’Italia è l’ultima in classifica in termini di attività dei fondi : non toccano – come si è detto- il 4% del pil rispetto ad oltre il 120 in Svizzera, Olanda, Islanda, ed ad oltre l’80% in Gran Bretagna e Australia Queste cifre includono un milione circa di aderenti a polizze previdenziali-assicurative individuali con un investimento totale attorno a 5 miliardi di euro.
La relazione Covip è ottimista per quanto riguarda il futuro. Lo è già stata in passato. Tuttavia, un’analisi dei rendimenti non è incoraggiante: Quelli dei fondi negoziali (ossia previsti nella contrattazione collettiva) hanno toccato una punta del 7,5% netto nel 2005 ma sono scesi dal 5% nel 2003 al 3,8% nel 1006. Non vanno meglio i fondi aperti: dal 5,7% nel 2003 al 2,4% nel 2005. Possiamo consolarci poiché la situazione non è migliore nella vicina Spagna: l’ultimo rapporto dell’istituzione di controllo dei fondi spagnoli rivela che dal 2001 al 2006 il tasso di rendimento è stato il 2,9% l’anno, inferiore a quello d’inflazione (3,2% l’anno)
Per il 2007 le prospettive non sono esaltanti, ma si può sempre dare la responsabilità alla crisi subprime. Sono soprattutto i lavoratori giovani a guardare a questi indicatori e a non correre verso i fondi. Il britannico “Financial Analists Journal” parla addirittura di insolvenze (collegate al subprime) di alcuni fondi del Regno Unito. Di converso, il consuntivo 2006 del fondo pensione dei dipendenti della Banca mondiale espone un tasso di rendimento del 14,1% per l’anno di riferimento e una media del 8,5% per il periodo 1997-2006. Quindi, fondo pensione non equivalente sempre a rendimenti risicati. Possono essere elevati se la consistenza è elevata e la professionalità dei gestori molto alta.
Il vero nodo italiano è che i 54,1 miliardi di euro sono frantumati su 574 fondi ed un milione di polizze individuali . I fondi di nuova istituzione (in base alle normative degli ultimi anni) sono 146; gli altri presistenti. I fondi negoziali sono 42, interessano ormai tutti i settori dell’economia ma non raggiungono 1,3 milioni di iscritti, nonostante gli sforzi per incoraggiarli Pensare che la destinazione del tfr/tfs risolva il problema equivale a credere che l’aspirina risolva malattie oncologiche. Occorre affrontare la polverizzazione del settore che ha dato vita ad una miriade di fondi lillipuziani che rischiano di essere fortemente penalizzati alla prima tensione sui mercati finanziari e spazzati via al primo temporale azionario o monetario. In Cile, quando un quarto di secolo fa, la previdenza venne articolata prevalentemente su fondi pensione, loro numero venne limitato a sei proprio per assicurare che fossero sufficientemente robusti. Quando venne varata la “riforma Amato” nel 1993, non mancarono suggerimenti in tal senso, ma vinse la teoria dei cento fiori – di consentire ad una pluralità di soggetti interessati di dare vita a fondi pensioni o gestiti direttamente o da affidare in gestione a specialisti. I risultati non sono esaltanti e le prospettive molto meno ottimistiche di quanto si può intendere da alcune pagine della relazione Covip.
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