GIOVANNA D’ARCO/ Prima della
Scala, 11 minuti di applausi: “La musica supera tutte le crisi del mondo"
Pubblicazione:
martedì 8 dicembre 2015
La prima della Scala
NEWS Musica
Il 7 dicembre
2015 la Stagione 2015/2016 del Teatro alla Scala è stata inaugurata con Giovanna
d’Arco di Giuseppe Verdi, che proprio alla Scala ebbe la sua prima
esecuzione il 15 febbraio 1845 e non vi viene eseguita dal 1865. Serata di
grande gala con la presenza del Presidente del Consiglio, del Ministro dei Beni
e delle Attività Culturali e del Sindaco nel palco centrale addobbati da gigli
bianchi (emblema della Francia).
La ripresa
di quest’opera dopo 150 anni si inserisce nella linea artistica che darà
forma alle stagioni scaligere dei prossimi anni: riproporre le opere che sono
nate alla Scala e riallacciare il legame con la tradizione del nostro
melodramma allargando i titoli, alternando i più famosi alla riscoperta di
capolavori meno eseguiti e portando in palcoscenico le edizioni critiche. Con
questo spettacolo Riccardo Chailly, al suo primo Sant’Ambrogio da
Direttore Principale, anticipa un progetto che si svilupperà nei prossimi anni
accanto all’ambizioso progetto di esecuzione di tutte le opere di Giacomo
Puccini.
Giovanna
d’Arco è stata
presentata alla Scala nell’edizione critica curata da Alberto Rizzuti per
Ricordi / University of Chicago Press, è la settima opera di Giuseppe Verdi e
la quinta scritta per la Scala. Il libretto di Temistocle Solera è tratto dal
dramma di Friederich Schiller Die Jungfrau von Orléans (1801) che
servirà da spunto anche per la versione di Cajkovskij del 1881. Nel 1845,
nonostante il successo di pubblico, anche grazie alle qualità vocali della
protagonista,
Erminia
Frezzolini, non venne apprezzata dai critici. Rappresentazioni a Roma e
Napoli (con altro titolo ed ambientandola in epoca differente) non ebbero
successo. L’opera tornò alla Scala due volte: nel 1858, nel 1865.
Nell’Ottocento – ricorda l’ottimo programma di sala predisposto per questa
occasione- la censura era allarmata non tanto da una possibile interpretazione
risorgimentale quanto soprattutto dal tema religioso: Giovanna era una figura
controversa, processata per eresia- sarà proclamata santa solo nel 1920. Si aggiunga
la scabrosa ossessione del libretto per l’illibatezza della giovane, cui il
padre chiede con insistenza “pura e vergine sei tu?”. Inoltre il pubblico era
disorientato: il titolo sembrava promettere le grandiosità di un affresco
storico sulla scia di Nabucco e dei Lombardi ma l’opera,
nonostante le scene di massa che guardano a Meyerbeer, punta con
decisione sul dramma familiare portando in primo piano il rapporto padre-figlia
. Successivamente sparì dai cartelloni italiani sino quasi alla ripresa a
Bologna nel 1989 fortemente voluta di Riccardo Chially ed un paio di occasioni
nell’ambito di festival. E’ apparsa in teatri stranieri anche importanti, ma in
Italia è una rarità.
Per alcuni
musicologi, Giovanna d’Arco è una partitura sperimentale che fa da
cerniera tra le esperienze giovanili e la “trilogia popolare”.
L’orchestrazione, curatissima, include fisarmonica, campane, sistri, arpe, un
cannone e, nell’ultima romanza di Carlo, un sorprendente accompagnamento di
corno inglese e violoncello solo. Per altri, invece, (è ad esempio noto un
saggio di Massimo Mila che la stronca duramente) è un lavoro diseguale, basato
su un libretto improbabile , specialmente nella prima parte (prologo e primo
atto), mentre la seconda è coesa. Ci sono presagi di future opere di Verdi ma
restano tali.
Andiamo allo
spettacolo. Il successo è, in gran misura, dovuto alla regia del belga Moshe
Leiser e del parigino Patrice Caurier (lavorano
insieme dal 1983), nonché alla scenografia di Christian Fenouillat,
ai costumi di Agostino Cavalca ed alle luci di Christophe
Forey. Non seguono affatto le intenzioni che l’impresario della Scala
Bartolomeo Merilli, il librettista Temistocle Solera e lo stesso Verdi avevano
nel 1845: ossia fare un grand-opéra all’italiana con tableaux decorativi.
La scena è
in una unica stanza da letto a metà Ottocento. Vi sta morendo una donna e nel
dormiveglia rivive la vicenda della Pulzella di Orléans. Con un abile gioco di
proiezioni, viene rievocata la Guerra dei Cento Anni e l’episodio centrale di Giovanna
d’Arco. In tal modo, il libretto di Solera acquista
credibilità nella mente di una donna la cui vita è stata travagliata dal
dilemma tra passione anche sensuale per il bel Re di Francia, voto di castità
ed amor patrio. Indubbiamente, mischiare Freud e Jung con il passaggio da Medio
Evo a Rinascimento non è un’impresa facile, ma il tentativo ha successo e rende
bene l’essenza dell’opera.
La parte
musicale - come si è detto - è affidata a Riccardo Chailly, che
di Giovanna d’Arco è un vero appassionato. Lo si avverte
dall’inizio quando l’ouverture è trattata come una breve sinfonia in quattro
movimenti (erede più di quella del rossiniano Guillaume Tell che
di precedenti opere di Verdi. La prima parte è ricamata dal Chailly;
ciò comporta una dilatazione dei tempi. Viene esaltata la ‘cavatina’ delle
protagonista (Anna Netrebko), che ha elementi di novità, mentre quella
del tenore (Francesco Meli) , con doppia cabaletta, appartiene alle
tradizioni più viete. Il baritono (Devid Cecconi), chiamato a sostituire Carlos
Alvarez, ammalato, ha avuto difficoltà nella prima parte ma si è
ripreso egregiamente nella seconda. C’è un quarto protagonista: il coro guidato
da Bruno Casoni. Ha un ruolo impervio in quanto è quasi sempre
presente in scena .deve interpretare voci celestiali e diaboliche, eserciti,
folle plaudenti e minaccianti. BraviDmitry Beloselkiy e Miche
Mauro.
Sotto il
profilo vocale, l’opera è il trionfo della protagonista, un ruolo impervio che
richiede un registro molto ampio e grandi capacità drammatiche. A questo stadio
della sua carriera, divenuta soprano drammatico – la ricordo nel ruolo di Liza
, soprano lirico leggero, ne La Dama di Picche al Mariinsky di
San Pietroburgo- non solo le se addice perfettamente ma è anche soprattutto la
dimostrazione di una vera grande artista di saper gestire con intelligenza la
propria voce. Alla fine, piacciono le parole del sovraintendente Alexander
Pereira: "la musica deve sempre superare tutte le crisi del mondo, delle
volte nella vita le cose si mettono in piazza senza che uno lo sa. C'è comunque
anche Dio che fa un po' di regia”.
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