FINANZA E POLITICA/ Le mosse per evitare "l'apocalisse dell'euro"
Pubblicazione: lunedì 14 dicembre 2015
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NEWS Economia e Finanza
Da anni, il matrimonio tra l’Unione
europea e l’euro è pari a quello di una coppia, coniugata da lungo tempo, in
cui marito e moglie si danno per scontati. È il momento più delicato, quello in
cui le consuetudini prevalgono sul rapporto affettivo di lungo periodo ed è
sufficiente un nonnulla per fare saltare il legame tra i due. Avvenimenti di
questi ultimi giorni ci dovrebbero ricordare che il futuro della moneta unica
non è affatto scontato, come per la coppia con oltre un quarto di secolo di
matrimonio dopo un decennio di fidanzamento.
Da un lato, quale che sarà, l’esito
delle elezioni regionali in Francia, una volta contati gli ultimi voti e
proclamati i dati ufficiali, è chiaro che un terzo dei cittadini del Paese che
nel 1989 propose l’unione monetaria e più insistette per la sua realizzazione,
ora ne farebbe volentieri a meno. Da un altro, le elezioni in Polonia hanno dato
una netta vittoria ai nazionalisti. In numerosi altri Stati dell’unione
monetaria, e dell’Ue acquistano forza movimenti e partiti politici anti euro,
più che anti sistema. Lo avevano previsto in molti sia mentre si negoziava il
Trattato di Maastricht, sia negli della transizione verso la moneta unica e in
quelli della crisi economica e dell’esplodere del debito sovrano.
Contrariamente alla vulgata, si è trattato di voci non populiste e
protezioniste, ma di liberisti come Martin Feldstein, Alberto Alesina, Pascal
Salin e numerosi altri, tra cui il gruppo di economisti (e giuristi) tedeschi
che si sono rivolti alla Corte Costituzionale di Karlsruhe per giudicare la
conformità del Fiscal compact e del terzo piano di salvataggio della
Grecia, tutti essenzialmente di “scuola austriaca” non “prussiana”.
Che l’euro sia in pericolo è venuto
a ricordarlo, all’Università di Roma La Sapienza, uno dei “padri” dell’unione
monetaria, Paul de Grauwe, ora alla London School of Economics, nelle due
lezioni che, con il supporto della Banca d’Italia, vengono organizzate in
memoria dell’economista Federico Caffè. Occorre ricordare che i libri di De
Grauwe sull’unione monetarie sono testi adottati da università di numerosi
Paesi (anche in Italia) e che l’economista ha sempre espresso critiche nei
confronti di alcuni aspetti dei Trattati, specialmente a certi parametri
quantitativi, ma è essenzialmente un liberale europeista.
Le due lezioni non sono una
curiosità accademica. De Grauwe ha ripercorso accuratamente la strada dell’euro,
dalla sua nascita alla crisi, non ha risparmiato riserve nei confronti di
Stati, e Governi, che non hanno effettuato le riforme essenziali ad aumentare
la competitività dei loro sistemi economici, e alla Banca centrale europea, le
cui misure sono state, a suo (documentato) avviso, tardive e insufficienti. De
Grauwe ha distribuito un testo (un vero e proprio saggio scritto per
l’occasione) che si può leggere sul sito del Dipartimento di Economia e Diritto
dell’Università La Sapienza. Sarebbe pleonastico riassumerlo.
Interessanti le conclusioni. E ancor
più interessante che sono state modificate a braccio al termine delle due
conferenze, e del confronto specialmente con gli studenti. Il testo è
eloquente: «L’unione monetaria può sopravvivere unicamente se gli Stati che ne
fanno parte decidono di andare verso l’unione dei bilanci e l’unione politica.
Oggi non c’è nessuna volontà di seguire questa direzione. Ciò renderà l’unione
monetaria sempre più fragile e forzerà il percorso verso una “unione egemonica”
in cui le redini del potere saranno nelle mani degli Stati creditori,
innescando conto-reazioni negli Stati debitori. Tale “unione egemonica” verrà
da molti respinta. Da fragile l’unione monetaria diventerà non sostenibile».
Una visione, quindi, apocalittica in cui i Governi saggi si dovrebbero
preparare alla dissoluzione più indolore (per tutti) dell’unione monetaria.
Come tale visione è stata modificata
nelle conclusioni a braccio? De Grauwe ha esposto un’alternativa,
(apparentemente) meno catastrofica. «Forse» basta fare «piccoli
passi» verso l’unione politica e di bilancio quali: a) mutualizzazione di
parte del debito sovrano tramite eurobond (o simili); b) ridurre l’azzardo
morale insito in numerose politiche economiche nazionali; c) definire
stabilizzatori macroeconomici automatici (sostegno dei senza lavoro, ecc.) a
livello europeo invece che esclusivamente nazionale; d) completare l’unione
bancaria (ora monca della gamba relativa all’assicurazione dei depositi); e)
definire un meccanismo “assicurativo” europeo per il ciclo (ossia obiettivi
comuni di crescita consentendo politiche espansive a chi cresce meno e
imponendo politiche restrittive a chi cresce di più).
Sono piccoli passi realistici?
Lo chiedo ai lettori.
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