‘GIOVANNA
D’ARCO' TRIONFA
Giuseppe
Pennisi
La stagione
2015-2016 del Teatro alla Scala è stata inaugurata, la sera di Sant’Ambrogio,
con Giovanna d’Arco di Giuseppe Verdi
(opera poco rappresentata negli ultimi lustri ma apprezzata a Salisburgo
l’estate 2013 quando è stata eseguita in forma di concerto essenzialmente con
lo stesso cast in scena a Milano sino al 2 gennaio). Un’inaugurazione di grande
lusso con il Presidente del Consiglio, il Ministro dei Beni e delle Attività
Culturali e del Turismo ed il Sindaco
nel palco reale addobbato con gigli bianchi (simbolo della Francia). Sala,
palchi e gallerie pienissimi e forte presenza del mondo della finanza e
dell’industria. Grande successo coronato da applausi ed ovazioni.
Giovanna d’Arco è opera molto amata da Riccardo Chailly il quale, dopo decenni di oblio
, la ripropose a Bologna nel 1989. E’ stata , poi, ripresa al festival verdiano
di Parma nel 2008, nonché a al festival estivo di Valle d’Itria. In effetti,
rispetto ai lavori verdiani che la precedono (Nabucco e I Lombardi alla
Prima Crociata) è sempre stata poco apprezzata. E‘, sotto molti aspetti, un
passo indietro nell’evoluzione del compositore, anche se , qua e là, si
percepiscono i germi di capolavori futuri. Noto un saggio di Massimo Mila (uno
dei maggiori studiosi di Verdi) che la faceva letteralmente a pezzi. Il
successo all’inaugurazione di questa stagione scaligera , può essere l’inizio
di un nuovo e meno accidentato percorso? Presto per dirlo.
Giovanna d’Arco
è tratta da una tragedia di. Friederich .
Schiller, Jungfrau von Orléans,
del 1801. Si era ben lontani da una
lettura mistico-religiosa della vicenda della fanciulla diventata condottiera
nella fase finale della Guerra dei Cent’Anni. Nel lavoro del poeta e
drammaturgo tedesco, l’interpretazione è, da un lato, nazional-popolare e , da
un altro, liberal-libertaria. La Pulzella è combattuta tra la missione di dare
unità nazionale alla Francia e la propria natura umana. Nel libretto di
Temistocle Solera, la tragedia di Schiller è sintetizzata (i personaggi diminuiscono da 27
a 5, di cui due meri comprimari) ma la vicenda è ridotta ad un fatto di
passione amorosa (per il Re di Francia) e di risorgimento nazionale . Nata, per
essere un “colossal” (come Nabucco e I Lombardi) , con grandi tableaux
storici e parate militari, la Pulzella d’Orléans che non era stata ancora
canonizzata (ciò avvenne all’inizio del
Novecento) poteva essere presa, in quegli anni, per un’Anita Garibaldi anzi
tempo. Giovanna d’Arco era stata
argomento di opere di Michele Carafa, Nicola Vaccai, Giovanni Pacini, tutte più
o meno basate su Schiller ed in chiave risorgimentale.
La scrittura
musicale e vocale di Verdi, interpretata con grande amore da Chailly e dal
cast, è diseguale. Nella prima parte, eccellono l’ouverture (una vera e propria
breve sinfonia in quattro movimenti), la ‘cavatina’ di Giovanna (Anna Netrebko)
ed il duetto d’amore tra la protagonista e Carlo VII (Francesco Meli). Il resto
è frammentario e la stessa figura del padre (Devid Cecconi) non assume una
forte connotazione, Più coesa la seconda parte, dal concertato iniziale alla
dolente conclusione con la morte di Giovanna.
Occorre ricordare
che il ruolo della protagonista è stato scritto da Verdi per un soprano
“anfibio”, Erminia Frezzolini, (ossia con una vocalità molto estesa) e per
lei sono composte le pagine più belle, pagine in cui Anna Netrebko sfoggia la
maturità vocale di soprano drammatico a cui è giunta in questi ultimi anni.
Alcune di queste pagine sono impervie; Anna Netrebko si è meritata applausi a
scena aperta. Più semplici i ruoli degli altri due protagonisti. Francesco Meli
ha messo in luce il suo timbro chiaro e la facilità di ascendere a registri
molto alti. Dopo qualche incertezza iniziale, Devid Cecconi (che ha sostituito
Carlos Alvarez, ammalato) è stato un padre a tutto tondo , tale da fare
presagire il Germont de La Traviata. Protagonista
di gran rilievo (come in numerose opere verdiane del periodo 1840-50) il coro diretto
da Bruno Casoni. Chailly ha cesellato la partitura come un ricamo, dilatando
leggermente i tempi nella prima parte, e trovando le tinte giuste per i vari
momenti del lavoro.
Elemento essenziale
del successo sono la regia e la drammaturgia
affidate a Moshe Leiser e Patrice Caurier, le scene di Christian
Fenouillat ed i costumi Agostino Cavalca. L’intera vicenda è vista come un
sogno, un incubo o un ricordo di letture effettuate sulla Pulzella da parte di
una donna malata nel 1850 o giù di lì in una grande stanza dalle cui mura
emergono , con proiezioni, la guerra, la cattedrale di Reims, la prigione
inglese e via discorrendo sino alla morte di Giovanna non sul rogo ma in
battaglia. Un vero coup de théátre.
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