OPERA/ I turbamenti del Giovane Siegfried, il James Dean di Wagner
Pubblicazione: martedì 22 dicembre 2015
Franco Iannino, Studiocamera
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Dopo una pausa di due anni, un
commissariamento e un cambiamento di gestione, il Teatro Massimo di Palermo ha
ripreso il wagneriano Ring des Nibelungen (L’anello dei Nibelunghi) nel
nuovo allestimento di Graham Vick e della sua équipe (Richard Hudson per la scene
ed i costumi, Ron Howell per le azioni mimiche, Giuseppe Di Jorio per le luci).
Cambia quasi completamente, invece, il cast musicale (dal maestro
concertatore agli interpreti). La stagione 2015 chiude con Siegfried
in scena sino al 29 dicembre; quella 2016 riapre con Götterdämmerung
in scena dal 28 gennaio 2016.
Chi ricorda le recensioni pubblicate
su questa testata nel 2013, sa che la visione di Vick non è religiosa o
trascendentale (la fine del politeismo nordico e l’avvento del cristianesimo)
come nelle intenzioni di Richard Wagner, ma fortemente politica: la vicenda è
attualizzata ai nostri giorni e mostra l’ultima lotta per il potere tra élite
ormai decadute e decrepite (i Giganti, gli gnomi, gli Dei del panteon
germanico) in attesa di un radicale rinnovamento. Siegfried dovrebbe essere la
leva per tale rinnovamento ma in Götterdämmerung cade anche lui nelle
trappole del vecchio mondo ingannatore. La luce di speranza si nell’olocausto
di sua moglie Brünilde .
In questo contesto, Siegfried (inizialmente
intitolata Il giovane Siegfried narra l’adolescenza del protagonista,
sino alla sua presa di coscienza e maturità. Nella lettura di Vick, l’opera
potrebbe chiamarsi ‘i turbamenti del giovane Siegfried’, mutuando il titolo dal
noto ‘romanzo di formazione’ di Robert Musil oppure ‘gioventù bruciata ai piedi
del Walhalla ‘ – il Walhalla è il monte dove sorge il Palazzo degli Dei
germanici - ricordando il film di Nicholas Ray che nel 1955 face
diventare James Dean una ‘star’ internazionale. Infatti, la regia pone
l’accento sulle inquietudini esistenziali del protagonista . A differenza di
quello del film di Ray (il cui titolo originale era Rebel wihout a Cause,
‘Ribelle senza una Causa’), Siegfried ha numerose ragioni per essere turbato.
Cresciuto da un nano in una foresta, cerca disperatamente di sapere chi sono i
suoi genitori, è consapevole che gli uccelli nidificano e fanno figli, ma non
hai mai visto una donna (quindi, nel primo atto fa atto di autoerotismo nel
letto a castello della capanna del nano Mime prima di forgiare la spada con cui
uccidere il drago Fafner). Il turbamento aumenta, anzi diventa paura, quando
dopo avere superato il cerchio di fiamme entro cui la donna dormiva da anni
(punizioni inflittagli per avere disobbedito al Re degli Dei, Wotan, suo
padre), scopre cosa è una donna. Per la prima volta scopre cosa è la paura.
Seguono, 45 minuti di eros pieno di gioia culminante in un orgasmo finale in
fortissimo “do”, e Brünilde diventa la sua ‘sacra sposa’.
E’, senza dubbio, interpretazione
originale del mito, e dell’opera wagneriana. Tanto più che il Re degli Dei,
Wotan, è ormai a metà tra un viandante ed un mendicante, ossesso da
rapporti anali sia con uomini sia con donne, chiaro segno, quindi, di un mondo
che si è già auto rottamato. Il leader, se vogliamo, dei Nibelunghi. Alberich è
un ‘furbetto da quartierino’, la Madre Terra Erda una vecchia barbona. La
foresta è popolata da giovani che fanno esercizi ginnici ed anche sesso; da
essi si distacca un uccellino portato da un innocente scout (che ne canta il
ruolo).
Ho preferito porre l’accento sulla
drammaturgia che sulla parte musicale, che tratto su una rivista tecnica,
perché ha in parte diviso il pubblico palermitano. L’opera non veniva messa in
scena al Massimo dal 1971 e pochi abbonati la conoscevano. Inoltre anche se la
parte musicale dura strettamente tre ore e mezza , due lunghi intervalli per la
cena (buffet nel primo, dolci nel secondo) ha fatto sì che si entrasse in
teatro alle 17,15 per uscirne circa alle 23.
Un cenno ai principali aspetti
musicali. Il Massimo ha affidato la direzione musicale a Stefan
Anton Reck,, assistente di Claudio Abbado dal 1997 al 2000, ed oggi
riconosciuto tra i massimi conoscitori della musica di Mahler e della seconda
Scuola di Vienna. L’orchestra risponde bene ai suoi stimoli. Il cast vocale è
mediamente di buona qualità. Ottimi, sia come attori sia come cantanti, Peter
Bronder (Mine) e Thomas Gazheli (Wotan). Di buon livello Seirgei Leiferkus
(Alberich). Deliziosa Deborah Leonetti (uccello del bosco). Il protagonista ha
un ruolo impervio (tre ore e mezza sempre in scena) e la regia lo fa cantare
tra esercizi ginnici e capriole: alla ‘prima’, Christian Voigt era forse
indisposto – mi si dice che ha cantato molto bene alla prova generale - ma è
stato un Siegfried pallido con poco volume ed un’insoddisfacente intonazione.
Meagen Miller (Brünilde) ha un’unica lunga scena con il futuro sposo:
avrebbe reso meglio con un partner più in forma.
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