giovedì 3 dicembre 2015

Gli effetti collaterali del piano di acquisti sulle disuguaglianze in Avvenire 3 dicembre



Gli effetti collaterali del piano di acquisti sulle disuguaglianze
AFrancoforte, in attesa della riunione del Consiglio della Banca centrale europea del 3 gennaio, l’aria si può tagliare a fette. È in effetti l’ultima riunione del 2015 'dedicata alla politica monetaria' e i temi principali su cui si confronteranno i membri del Consiglio sono essenzialmente due: il futuro delle politiche monetarie 'non convenzionali' (essenzialmente il Quantitative Easing) e come riportare il tasso d’inflazione a circa il 2% l’anno.
Sul secondo argomento non c’è una proposta specifica ma un dibattito a livello internazionale. Economisti di varie scuole e tendenze non hanno una ricetta per rilanciare domanda aggregata e, di conseguenza, salari e prezzi; tanto più che, sottolinea uno studio appena diffuso
online di Tito Boeri, attuale presidente dell’Inps, e Juan F. Jimeno del Banco di España, le divergenze tra tassi di disoccupazione e prassi di funzionamento dei mercati del lavoro nella zona euro sono forti e si stanno approfondendo ancora di più. L’unica medicina consisterebbe in un forte deprezzamento dell’euro. Ma ciò è anatema per numerosi governi dell’area.
Sul primo punto il management della Bce propone di ampliare le dimensioni quantitative del QE. (acquisto di titoli degli Stati membri) e di estenderne la durata. Tuttavia, sulla proposta non c’è affatto consenso. Alle obiezioni tradizionali di alcuni Paesi nordici (secondo cui politiche monetarie non convenzionali snaturerebbero la natura di 'guardiano della stabilità' della Bce), se ne aggiungono altre due da parte dei 'delusi' dal QE. In primo luogo le misure 'non convenzionali' non sembra giungano facilmente alle imprese e all’occupazione ma paiono restare troppo spesso nelle casseforti delle banche. A questa obiezione 'europea' si può rispondere che nell’eurozona l’esperienza è solo di pochi mesi, quindi non basta per poterne toccare con mano gli effetti. C’è però un’altra critica: l’esperienza americana, dove le misure 'non convenzionali' sono iniziate nel 2008 e sono state molto più consistenti di quelle europee, dimostrerebbe che il QE ha sì contributo al rilancio dell’economia (negli Stati Uniti il tasso di disoccupazione è sceso al 5% e il Pil cresce al 2,5-3% l’anno) ma al costo di un aumento delle disuguaglianze. A riguardo c’è una fioritura di documenti tecnici. Il lavoro più equilibrato (e meno ideologico) pare essere quello di Juan Antonio Montecino e Gerald Epstein – ambedue della University of Massachusetts ad Ahmers. La conclusione a cui sono arrivati è che, pur se leggermente, il QE. ha favorito la finanza ed aggravato le differenze di reddito e ricchezza tra fasce sociali.
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