Perché in Italia è in atto la congiura del silenzio
sul Fatca
20 - 12 - 2014Giuseppe Pennisi
In queste settimane, uno
dei temi caldi sulla stampa internazionale riguarda gli effetti del
FATCA (Foreign Account Tax Compliance Act), una norma americana recepita
dall’Italia l’estate scorsa sugli intermediari finanziari, sulle famiglie e
sugli individui.
Due importanti columnist
del ‘Project syndacate’, appena effettuati i loro adempimenti con
il FATCA, sono andati ai più vicini consolati americani a rinunciare alla
loro nazionalità americana (diventando uno tedesco e uno francese, le
nazionalità dei coniugi). I consolati americani hanno aumentato da 400 a 3250
euro la fee (tassa) per rinunciare alla cittadinanza.
In Canada, dove la doppia
cittadinanza è frequentissima, si è addirittura costituito un partito con il
programma di forzare il Governo di uscire dall’Intergovernmental Agreement con
cui è stato recepito il FATCA. Gli americani residenti nei Paesi OCSE hanno
dato vita ad un’associazione perché siano gli organi dell’organizzazione a far
sì che gli Stati Uniti applichino, come tutti, il principio dell’imposizione
tributaria sulla base delle ‘residenza’ non della ‘cittadinanza’.
Non solo: oggi se ci si
rivolge a qualsiasi istituzione finanziaria italiana per acquistare quote di un
fondo comune d’investimento, si deve compilare un complesso modulo per
certificare che non si è, e non si è mai stati, cittadini americani, e – ove lo
si sia stati – occorre esibire copia autenticata dell’atto di rinuncia quale
accettato dall’Amministrazione Usa.
Infine, alcuni
correntisti italiani stanno ricevendo lettere di disdetta dei loro conto
correnti da banche, di cui sono stati clienti per decenni, perché ci sono
‘forti indizi’ di cittadinanza americana. Si tratta spesso di figli di italiani
che, dopo un periodo di espatrio, sono rientrati in Patria, di vedovi o vedovi
di americani, di persone nate quasi “per caso” negli Usa in quanto figli di
diplomatici, funzionari internazionali, italiani che hanno lavorato per periodi
più o meno lunghi all’estero.
Cosa è il FATCA? Non è
questa la sede per entrare nei dettagli tecnico-tributari. Come scrisse
mirabilmente Paul Streeten in un saggio nel lontano 1986 è il frutto della
‘legge del racket’ in base alla quale una buona idea finisce nelle mani delle
persone sbagliate e ne creano un incubo burocratico per i propri fini.
FATCA nasce da una buona
idea: tentare di limitare il riciclaggio e far sì contemporaneamente che i
milioni di cittadini americani (spesso inconsapevoli di esserlo) adempiano ai
loro obblighi tributari nei confronti degli USA. Su questa buona idea, si
sono inserite due componenti: la lobby dei ‘mutual funds’ americani per
impedire che i cittadini americani investano in ‘fondi comuni’ esteri, od in
mutual funds Usa che operano anche con titoli stranieri, e il desiderio
dell’Internal Revenue Service (IRS) , l’Agenzia delle Entrate americana di
espandere il proprio tentacolare organico. Il tutto è stato condito di una
buona dose di populismo.
In estrema sintesi,
tutti gli intermediari finanziari devono consegnare all’IRS, tramite le agenzie
tributarie nazionali, tutti i dati sui conti di deposito di cittadini
americani, anche quelli cointestati con non americani. Un costo enorme per gli
intermediari. Ancora maggiore, però, quello che pesa sugli intermediari
finanziari (e sui singoli sia individui sia famiglie sia imprese) se gli
americani residenti all’estero vogliono mettersi in regola tramite un percorso
speciale definito nel FATCA; occorre infatti presentare, per gli ultimi sei
anni, i movimenti (spesso quotidiani) di ciascun titolo all’interno di ciascun
comparto di mutual fund americano o straniare al fine di determinare capitale,
dividendo o interesse. Un lavoro mostruoso.
Teoricamente, dovrebbe
servire all’IRS a determinare se l’imposta sull’aumento di capitale (che negli
Usa aveva, sino ad un anno fa, aliquote più alte che in numerosi Paesi OCSE)
deve essere conguagliata. Per l’imposta sui redditi,i trattati sulla doppia
tassazione fanno sì che unicamente in rarissimi casi ci saranno compensazioni
da fare.
Quindi molto lavoro per
un piccolo gruppo di fiscalisti specializzati in questa materia. Un costo
pesantissimo per le istituzioni finanziarie, per gli individui e per le
famiglie. Ci sono alternative migliori e più semplici (nonché meno onerose) per
raggiungere i medesimi obiettivi tanto che negli Usa il Partito Repubblicano
sta lavorando alla sostituzione del FATCA; con un altro strumento legislativo.
Il punto di fondo è
perché in Italia non c’è stato il débat publique prima di recepire l’accordo e
perché oggi non se parla e non si mettono le strutture pubbliche in condizioni
di aiutare individui, famiglie ed imprese? Tanto più che c’è un aspetto molto
grave: una legge straniera cambia regole italiane per cittadini italiani e
discrimina nei confronti di cittadini italiani come in altri tempi venne fatto
nei confronti degli italiani
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