PRIMA
DELLA SCALA 2014/ L'ambiguità di Fidelio
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lunedì 8 dicembre 2014 - Ultimo aggiornamento: lunedì 8 dicembre 2014, 11.16
Una scena dallo
spettacolo di ieri sera
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L’opera
prescelta per l’inaugurazione della prima stagione scaligera di Alexander
Pereira nella duplice veste di sovrintendente e direttore artistico e per
l’ultima di Daniel Barenboim nella veste di ‘direttore scaligero’ è Fidelio
o l’amore coniugale di Ludwig van Beethoven. La sera di Sant’Ambrogio
l’esecuzione del lavoro (per la terza volta scelto per inaugurare una stagione
della Scala) è stato accolto con 12 minuti di applausi ed ovazioni a tutti gli
interpreti. Parte del successo è un augurio alla nuovo sovrintendente. Parte un
arrivederci a Barenboim. Parte all’opera che - ma pochi nel pubblico se ne sono
accorti – è stata presentata in una versione differente da quelle di solito in
scena in Italia.
Fidelio
è l’unica opera di Ludwig van Beethoven. E’ basata su una “pièce à
sauvatage” (dramma teatrale con finale lieto in quanto gli innocenti vengono
salvati dell’inatteso arrivo dei buoni loro alleati), genere consueto, specialmente
in Francia, nel periodo tra rivoluzione francese e il Direttorio. Racconta di
Leonore che nella Spagna settecentesca si traveste da ragazzo per farsi
assumere come secondino dal carceriere Rocco al fine di salvare il proprio
marito Florestano, preda di un crudele signorotto di provincia, Pizzarro, di
cui Florestano ha denunciato i delitti.
Le
belle fattezze di Leonore-Fidelio attirano l’attenzione della figlia di Rocco,
Marzelline, facendone inalberare il fidanzato Jaquino. Il salvataggio arriva
mentre Pizzarro sta per uccidere Florestano sia perché Leonore estrae una
pistola dal corsetto sia grazie al provvidenziale arrivo del messo del Re.
Vicenda banale – già messa in musica da altri prima che Beethoven la prendesse
come spunto per la sua opera per il teatro (ne aveva tentato un’altra senza
portarla a compimento).
Per
Beethoven è stato un lavoro travagliato, durato 12 anni che ha portato a tre
edizioni differenti (in Italia la prima versione è stata messa in scena
nel 2006 a Bologna ma non ha suscitato grandi entusiasmi). I dettagli della
complessa elaborazione del lavoro si hanno nella lettura del bel saggio sul
compositore di Piero Buscaroli.
E’
un’opera ambigua sia per il genere scelto, il Singspiel in cui parti
cantate si alternano con numeri musicali (un genere tipico di commedie più che
di drammi come dimostrato dal fatto che fiorirà nella opéra-comique francese)
sia perché sempre in bilico tra la pièce di equivoci mozartiana (la
prima parte) sia dal grande lavoro epico ed etico (la seconda parte). Lo
spartiacque è la grande aria di Leonore Abscheulichee, wo elist du hin? nel
primo atto.
Soprattutto.
Fidelio non ha condotto ad un nuovo stile nell’opera tedesca– ciò
sarebbe avvenuto qualche anno più tardi con “Il franco tiratore” di
Weber ed “Il vampiro” di Marschner – ma un tentativo, colmo di difetti
tecnici (pur nella versione definitiva) eppur diventato un capolavoro e
giustamente ritenuto tale.
La
sua ambiguità è stilistica. Il primo atto è denso di momenti mozartiani ma non
si può pensare che Beethoven sia un epigono di Mozart. Dopo la grande
aria di Leonore il tono è differente ma non siamo nell’opera romantica tedesca,
piuttosto nella grande opera imperiale di Gaspare Spontini che utilizzò temi
analoghi sia alla corte francese che soprattutto in quella prussiana.
Per decenni, specialmente in Italia, le letture sceniche di Fidelio hanno
presentato interpretazioni che spostavano l’attenzione dal tema dell’eroismo di
Leonore alimentato da Die eheliche Liebe, “l’amore coniugale” –
all’esaltazione della libertà contro la tirannide. Nè Nicolas Bouilly, autore
della pièce à sauvetage, nè J.F. Sonnleithner e G.F. Treitschke,
a cui si deve l’insulso libretto, avevano lo spirito di Vittorio Alfieri. Né,
tanto meno, Beethoven, peraltro sotto il profilo politico ‘un vero
conservatore’, intendeva comporre un’opera contro il potere costituito.
Nell’opera il “salvataggio”, compiuto da Leonore, viene ratificato da un
“dittatore benevolo”; la punizione è per un tirannello sadico di provincia che
ha trasgredito, per l’appunto, le regole della imperiale benevolenza. Lo
documenta nel già citato monumentale “Beethoven” (1400 pagine) di Piero
Buscaroli e l’inteso carteggio che accompagnò la tormentata lavorazione dell’opera.
In primo luogo, nella produzione andata in scena alla Scala per
Sant’Ambrogio, la regia di Deborah Warner pone l’accento sulla vicenda d’amore
e reintroduce i consueti tagli nelle parti parlate del primo atto. Le scene ed
i costumi (di Chloe Obolensky) e le luci (di Jean Kalman) ci portano in una
fabbrica mal ridotta in un Landorientale (forse la
Turingia).
Barenboim modifica l’ultima versione beethoveniana dell’opera ,
facendola precedere dalla seconda ouverture non da quella definitiva e come è
sua prassi dilata i tempi dando un’impostazione molto solenne al lavoro (ed in
certi momenti) coprendo la protagonista Anja Kampe che la sera della prima non
era al meglio in quanto volume. Quindi l’ambiguità resta ed anzi viene
accentuata. Ottimi coro ed orchestra, tra gli interpreti, tutti di alto
livello, il gruppo maschile (Peter Mattei, Falk Struckmann, Klaus Florian Vogt,
Kwanchul Youn, Florian Hoffmann), è parso prevalere sui due soprano , Anja
Kampe e Mojca Erdmann.
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