Il “Fidelio”
bifronte della Scala
09 - 12 - 2014Giuseppe Pennisi
E’ buona prassi della critica straniera aspettare
alcuni prima che le recensioni di spettacoli vengano complessi vengano
consegnate e pubblicate. Lo spettacolo, infatti, deve essere meditato e
metabolizzato. La Scala ha inaugurato la stagione 2014-2105 con un’edizioni
molto complessa “Fidelio” o è Fidelio o l’amore coniugale di Ludwig van
Beethoven. La sera di Sant’Ambrogio l’esecuzione del lavoro (per la terza
volta scelto per inaugurare una stagione della Scala) è stato accolto con 12
minuti di applausi ed ovazioni a tutti gli interpreti. Parte del successo è un
augurio alla nuovo sovrintendente. Parte un arrivederci a Barenboim. Parte
all’opera che – ma pochi nel pubblico se ne sono accorti – è stata presentata
in una versione differente da quelle di solito in scena in Italia. Alla cena
che è fatto seguito allo spettacolo tutti sembravano esaltare regia, direzioni
musicali ed interpreti. Il 9 dicembre il più diffuso quotidiano italiano ha
pubblicato una critica severissima; ho ragione di ritenere che uno dei maggiori
quotidiano austriaci non farà sconti.
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Occorre porre lodi e censure in prospettiva. Come ho
illustrato in dettaglio su Milano Finanza del 9 dicembre, “Fidelio” è
un’opera bifronte : un Singspiel (lavoro teatrale in cui la parti parlate si
alternano a numeri musicali) che ha comportato al suo autore dodici anni di
travagliato lavoro e tre differenti versioni. L’approfondimento migliore si ha
nel monumentale saggio (1400 pagine) di Piero Buscaroli su Beethoven.
In effetti, si passa da la pièce di equivoci ed amori quasi mozartiana
(la prima parte) ad un grande lavoro epico ed etico (la seconda parte).
Lo spartiacque è il grande recitativo ed aria della protagonista Abscheulichee,
wo elist du hin? Nel primo atto.
Il problema di fondo dell’allestimento scaligero (una
novità assoluta in quanto riapre dialoghi spesso tagliati in teatri il cui
pubblico non parla tedesco ed utilizza l’utilizza della seconda versione invece
di quella che Beethoven riteneva più confacente alla terza edizione,
nonché contiene altre interpolazioni) è che la regia di Deborah Warner
pare interamente imperniata sull’intreccio amoroso mentre la direzione musicale
di Daniel Barenboim è lenta e solenne che esplode dal duetto in sol
maggiore tra i due protagonisti e l’ultima parte del lavoro.
La regia di Deborah Warner ambienta la storia
d’amore in quella che pare essere una fabbrica semi-abbandonata nel Nord della
Germania orientale, forse in Turingia. Ciò non disturba tanto più che negli
ultimi anni l’opera ha avuto le ambientazioni più differenti (dai dipinti di
Piranesi ai caschi blu). Appare strano , però, che i carcerieri giochino a
pallone nel cortile della fabbrica-prigione. Ancor più strano il gran sventolio
di bandiere rosse. Neanche Ruth Berghaus, mitica regina della Staatsoper
di Berlino prima della caduta del muro, aveva pensato a qualcosa del genere.
Sapeva che Beethoven era un gran conservatore, ammirava il Napoleone del
Direttorio, odiava la rivoluzione francese ed il suo sogno era il Re
dittatoriale, ma illuminato, il cui messo salva tutti alla fine del lavoro.
La regia sentimentale ove non minimalista (tranne il
tripudio finale di bandiere rosse) e la direzione musicale stridono ed
accentuano ancora di più il carattere bifronte di un lavoro rivolto, da un
lato, a Mozart e dall’altro a Spontini e Cherubini. Le
“innovazioni” di Barenboim non credo verranno riprese: l’ouverture n.2 è
un’introduzione troppo muscolosa ai duetti e quartetti che le fanno
immediatamente seguito. Meglio riprendere l’idea di Gustav Mahler di
introdurre la ouverture n.3 tra il primo ed il secondo quadro del secondo atto
sia per agevolare il cambio di scena (e la salita dalle tenebre alla luce) sia
per far riposare i cantati dopo il grande duetto: pochi si sono accorti (data
l’importanza del coro) che Anja Kampe e Klaus Florian Vogt erano
rimasti quasi privi di voce nella scena finale. Tre le voci da segnalare Kuanchul
Youn, nel ruolo di Rocco : ha fatto diventare centrale un personaggio di
solito considerato minore.
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