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Gli "attacchi a orologeria" di fine anno sull'Italia
Pubblicazione: lunedì 15 dicembre 2014
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NEWS Economia e Finanza
Una mera coincidenza casuale? Si potrebbe pensare.
Tuttavia, è curioso che proprio nei giorni di vigilia dell’ultimo Consiglio
europeo a presidenza italiana (il prossimo avverrà almeno tra quattordici anni)
uno dei più noti, se non più autorevoli, economisti europei, Daniel Gros,
direttore del Center for european policy studies, divulghi un’analisi (il Ceps
Policy Brief No. 326) che contraddice una delle linee di fondo dell’azione
dell’Italia negli ultimi mesi.
E anche curioso che in parallelo, sempre sabato 13
dicembre, quando nei Paesi nordici si festeggia Santa Lucia al lume di candele,
Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, in un’intervista a Repubblica,
non a un quotidiano o periodico tedesco, si scagli apertamente contro il
Presidente della Banca centrale europea (Bce) Mario Draghi affermando:
“L’acquisto di titoli sovrani nell’Eurozona è da valutare diversamente che in
altre aree valutarie”. “In Europa accanto alla politica monetaria comune
abbiamo 18 Stati con politiche finanziarie indipendenti e rating e situazioni
di debito ben diversi. Ciò crea tentazioni di indebitarsi di più e scaricare le
conseguenze sugli altri”. Frase non solitaria - Weidmann è considerato
il proprio faro da un gruppo di Governatori di banche centrali europee - e con
la quale si intende seppellire, una volte per tutte, quelle manovre monetarie
“non convenzionali”, altro punto di fondo del semestre in cui l’Italia ha avuto
l’onere di guidare gli organi di governo dell’Unione europea.
Ancora più curioso, infine, che il lavoro di Gros e
l’intervista di Weidmann avvengano proprio mentre a Roma, il 12 e il 13
dicembre, si teneva una conferenza su “Investire sull’Europa a lungo termine”,
in cui si sono alternati sul podio o nelle tavole rotonde circa quaranta
relatori, tra cui due Ministri in carica, due Commissari europei, il Vice
Segretario Generale dell’Ocse ed esponenti non solo delle maggiori istituzioni
internazionali ma anche di quella che viene comunemente chiamata “società
civile”.
Gli argomenti di Weidmann non solamente riflettono un
punto di vista espresso, in maniera più sfumata, altre volte e chiariscono le
posizioni assunte il 4 dicembre al Consiglio Bce, ma avvengono proprio mentre
si paventa una nuova crisi greca, di cui, secondo studi interni della
Bundesbank, l’Italia potrebbe essere la cinghia di trasmissione che
contagerebbe il resto d’Europa.
Più complesso il lavoro di Daniel Gros, in quanto
avanza un’ipotesi intrigante: il tanto lamentato declino del tasso
d’investimento dal 2007 (particolarmente accentuato in Italia e altri paesi
dell’Europa meridionale) sarebbe più fittizio che reale, poiché negli anni
precedenti la crisi l’investimento sarebbe stato drogato da un eccesso di
liquidità e di credito. Inoltre, un aumento dell’investimento avrebbe pochi
effetti in un’Europa la cui popolazione e il cui apparato produttivo sono in
veloce invecchiamento e in cui la produttività totale dei fattori produttivi
ristagna. “Di per sé - afferma Gros in toni un po’ apodittici - la
riduzione della produttività totale dei fattori produttivi abbassa il tasso
d’investimento”.
Non è questa la sede per indicare come la conferenza
sugli investimenti a lungo termine del 12-13 dicembre a Roma (gli atti saranno
tra breve disponibili sul sito della Federazione delle Banche,
delle Assicurazioni e della Finanza) abbia implicitamente risposto a queste
critiche, specialmente alla seconda. In una fase come l’attuale, nell’eurozona,
un aumento dell’investimento a lungo termine è essenziale sia per una migliore utilizzazione,
nel breve periodo, della capacità di produzione, sia per un aumento, nel medio
e lungo termine, della produttività dei fattori. Su questo punto, al convegno
di Roma, la risposta è stata unanime. Soprattutto ha riguardato non solo
l’infrastruttura tradizionale (strade, ponti, aeroporti), ma anche le reti e
l’infrastruttura sociale (scuole, giardini d’infanzia, ospedali, social
housing).
È difficile dire se l’appello per una politica di
crescita imperniata sull’investimento di lungo periodo sia un esito del
“semestre italiano” oppure il frutto dell’esigenza fortemente sentita che
l’Europa riprenda a crescere. È certo comunque che se non si investe non si
produce per il futuro e non si cresce.
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