MILANO
CELEBRA BEETHOVEN
Giuseppe Pennisi
“Fidelio
ovvero L’amore coniugale” di Ludwig van Beethoven ha inaugurato la stagione
scaligera. Si è trattato di una prima
assoluta , sotto il profilo drammaturgico e musicale. Almeno per l’Italia.
Basata su una pièce
à sauvatage (“dramma teatrale con finale alla ),
genere consueto, specialmente in Francia, nel periodo tra rivoluzione francese
e Direttorio, costò a Beethoven un lavoro di dodici anni che ha portato a tre edizioni
differenti (in Italia la prima versione è andata in scena una diecina di anni
fa a Bologna), rattristati dai clamorosi insuccessi delle prime due versioni.
La terza, del 1814, è quella di solito rappresentata. E’ un SingSpeil , genere di spettacolo in cui
dialoghi parlati si alternano con numeri musicali, utilizzato più per commedie
che per drammi. In Italia (e non solo), le parti parlate (prevalenti nel primo
atto) sono spesso tagliate.
Racconta di Leonore , nobildonna che nella Spagna settecentesca, si traveste da
ragazzo per farsi assumere come secondino dal carceriere Rocco al fine di
salvare il proprio marito Florestano, preda di un crudele signorotto ,
Pizzarro, di cui Florestano ha denunciato i delitti. Le belle fattezze di
Leonore-Fidelio attirano l’attenzione della figlia di Rocco, Marzelline ,
facendone inalberare il fidanzato Jaquino. Il salvataggio avviene mentre
Pizzarro sta per uccidere Florestano sia perché Leonore estrae una pistola dal
corsetto sia grazie al provvidenziale arrivo del ministro del Re. Vicenda
banale già messa in musica da altri, prima
che Beethoven la prendesse come spunto per la sua unica opera per il teatro (ne
aveva tentato un’altra senza portarla a compimento). Fidelio arrivò tardi in Italia: la prima alla Scala è del 1927, in
italiano e fortemente mutilata, poiché così differente dal melodramma verdiano
e dagli stili della ‘giovane scuola’ (Puccini, Mascagni). Solo dopo la seconda
guerra mondiale, il lavoro è entrato stabilmente nei cartelloni ma in versioni
differenti da quelle presentata alla Scala.
Sotto il profilo drammaturgico, la regia di Deborah
Warner pone l’accento sulla vicenda d’amore e reintroduce i consueti tagli
nelle parti parlate del primo atto. E’ una scelta discutibile perché richiede
una conoscenza del tedesco molto più profonda di quanto permettano i
sovrattitoli e perché nel venticinquennale della caduta del muro di Berlino, si
sarebbe aspettata maggiore enfasi sulla libertà, aspetto fondante dell’ethos
beethoveniano , straripante nel secondo atto. Le scene ed i costumi (di Chloe
Obolensky) e le luci (di Jean Kalman) ci portano in una fabbrica mal ridotta in
un Land orientale (forse la Turihgia).
Ambientazione più appropriata di allestimenti recenti (si spazia dalle stampe
di Piranesi all’arrivo dei caschi blu). Mentre però un carceriere (interpretato
da Kwangchul Young) può essere indotto da un bieco signorotto (Falk Struckmann)
a diventare, per soldi un omicida, è poco probabile che lo faccia un capo
reparto per compiacere l’amministratore delegato. La recitazio è di gran
classe, come si potrà meglio apprezzare nel DvD in confezione.
Nella lunga preparazione di Fidelio , Beethoven scrisse quattro ouverture. Di norma si segue la
prassi iniziata da Gustav Mahler di eseguire la quarta ouverture all’inizio,
come nel 1814, ma di introdurre la terza (chiamata Leonore No.3) tra la prima e la seconda scena del secondo atto,
dalla liberazione di Florestano (Klaus Florian Vogt) da parte di Leonore (Anja
Kampe) all’arrivo del ministro del Re (Peter Mattei), alla riconciliazione tra
Marzelline (Mojka Erdmann) e Jaquino (Florian Hoffmann), alla liberazione dei
prigionieri ed infine al grande inno collettivo alla libertà. Barenboim
giustifica la scelta di eseguire la seconda delle quattro ouverture all’inizio
e di non introdurre la terza, affermando che quest’ultima è importante quanto tutta
l’opera. Preferisco la prassi di Mahler anche per ragioni sceniche: risalire
dagli inferi alla luce abbagliante della libertà richiede un ‘numero’ musicale
appropriato. Barenboim dilata i tempi (a differenza di Abbado, Karajan e Boehm)
e l’orchestra ed il coro lo assecondano magnificamente. Tuttavia, la
concertazione solenne esalta proprio quel profondo ‘ethos’ che la regia tende a
contenere per dare più spazio alla doppia vicenda d’amore (tra Leonore e
Florestano e tra Jaquino e Marzelline fisicamente attratta da un Fidelio ,
ossia Leonore in maschera) . Inoltre, l’orchestra ‘copre’ Anja Kampe (che il 7
dicembre conservava il volume per la seconda parte) nell’aria più importante
del primo atto (Abscheilicher, wo eilst
du him) quando il lavoro passa da commedia borghese a tragedia di valori
universali.Di grande livello il cast vocale anche se il 7 dicembre il gruppo
maschile è parso una spanna più su dei due soprano.
Una
messa in scena, comunque, tutt’altro che banale e su cui riflettere.
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