Fidelio e i giovani
06 - 12 - 2014Giuseppe Pennisi
Bastano le foto per mostrare come
all’anteprima del 4 dicembre riservato ai giovani al di sotto dei trent’anni,
il pubblico abbia comprese e gradito “Fidelio ovvero L’amore coniugale” è la
sola opera di Ludwig van Beethoven.
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L’opera basata su una “pièce au
sauvatage” (“dramma teatrale con finale alla ), genere consueto, specialmente
in Francia, nel periodo tra rivoluzione francese e Direttorio. Racconta di
Leonore , che nella Spagna settecentesca, si traveste da ragazzo per farsi
assumere come secondino dal carceriere Rocco al fine di salvare il proprio
marito Florestano, preda di un crudele signorotto di provincia, Pizzarro, di
cui Florestano ha denunciato i delitti. Le belle fattezze di Leonore-Fidelio
attirano l’attenzione della figlia di Rocco, Marzelline , facendone inalberare
il fidanzato Jaquino. Il salvataggio arriva mentre Pizzarro sta per uccidere
Florestano sia perché Leonore estrae una pistola dal corsetto sia grazie al
provvidenziale arrivo del messo del Re. Vicenda banale – già messa in musica da
altri – prima che Beethoven la prendesse come spunto per la sua opera per il
teatro (ne aveva tentato un’altra senza portarla a compimento).
Un lavoro travagliato, durato 12
anni che ha portato a tre edizioni differenti (la prima versione sarà in scena
tra poche settimane a Bologna) nell’arco di 12 anni, rattristati dai clamorosi
insuccessi delle prime due edizioni. Non ha condotto ad un nuovo stile – ciò
sarebbe avvenuto qualche anno più tardi con “Il franco tiratore” di Weber ed
“Il vampiro” di Marschner – ma un tentativo, colmo di difetti tecnici (pur
nella versione definitiva) eppur diventato un capolavoro e giustamente ritenuto
tale.
Per decenni, tuttavia,
specialmente in Italia, le letture sceniche di “Fidelio” hanno presentato
interpretazioni “politicamente corrette” che spostavano l’attenzione dal tema
di fondo – l’eroismo di Leonore alimentato da “Die eheliche Liebe”, “l’amore
coniugale” – all’esaltazione della libertà contro la tirannide. Nè Nicolas
Bouilly, autore della “pièce à sauvetage”, nè J.F. Sonnleithner e G.F.
Treitschke, a cui si deve l’insulso libretto, avevano lo spirito di Vittorio
Alfieri. Né, tanto meno, Beethoven intendeva comporre un’opera contro il potere
costituito. Nell’opera il “salvataggio”, compiuto da Leonore, viene ratificato
da un “dittatore benevolo”; la punizione è per un tirannello sadicotto di
provincia che ha trasgredito, per l’appunto, le regole della imperiale
benevolenza. Lo documenta il monumentale “Beethoven” (1400 pagine) di Piero
Buscaroli e l’inteso carteggio che accompagnò la tormentata lavorazione
dell’opera. I giovani hanno compreso che l’opera è un inno all’amore ed alla
libertà, un binomio che va sempre insieme
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