L’Europa è divisa sul significato della
parola riforme
Il vice-presidente della Bce, Vitor Constâncio, lo ha
lasciato in qualche modo intendere: di acquisto di titoli di Stato
('Quantitative easing') se ne potrebbe parlare nella primavera prossima.
Pochi hanno notato che il periodo coincide con quel marzo in
cui Italia, Francia e Belgio dovranno fare gli esami di riparazione, in quanto
le rispettive leggi di Stabilità sono state sì approvate, ma con l’impegno di
una nuova analisi tra quattro mesi quando si potrà toccare con mano quante e
quali delle riforme promesse stanno facendo effettivamente progresso. È sensato
esaminare congiuntamente politica monetaria, politica di bilancio e politica di
riforme: sono tre aspetti della medesima politica economica. Anzi, sarebbe
auspicabile tenere conto anche della politica dei prezzi e dei redditi. Ma gli
esami di riparazione celano purtroppo una vera e propria 'commedia degli
errori', ossia una serie di equivoci.
Per Italia, Francia e Belgio l’oggetto del test saranno
principalmente le riforme ai meccanismi di finanza pubblica per giungere a quel
pareggio di bilancio al quale, secondo il Fiscal Compact, si sarebbe dovuto già
arrivare. Tuttavia altri Stati aderenti all’intesa – non solo la Germania e il
piccolo gruppo di nordici – hanno una lettura differente: per 'riforme'
intendono quelle necessarie ad aumentare la produttività, in quanto le
difficoltà di finanza pubblica e l’elevato debito non sarebbero che conseguenze
di una produttività che non cresce e di un’economia a passo di gambero.
A torto o a ragione, quindi, non solo misure di finanza
pubblica e riassetto dei mercati di uno dei fattori di produzione (il lavoro,
ad esempio, tramite strumenti legislativi come il Jobs Act), ma soprattutto
liberalizzazioni e privatizzazioni per incoraggiare la concorrenza (e
cominciare a ridurre il peso del debito). Con equivoci di questa portata, la
diatriba può durare a lungo.
Giuseppe Pennisi
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