ANCORA IL NODO DELLE PENSIONI
Giuseppe
Pennisi
Non so se Matteo
Renzi abbia mai letto la pièce – sono anni che non viene messa in scena in
Italia . Il lavoro merita una lettura, almeno da parte dei suoi collaboratori,
prima che la parola che inizia con ‘P…’ entri nei suoi programmi. Non si
intende la professione più antica del mondo , ma il vocabolo ‘Pensioni’ che venti
anni fa venne pronunciato incautamente dall’allora Presidente del Consiglio
Silvio Berlusconi (con l’esito di essere sfrattato da Palazzo Chigi, non senza
il compiacimento dell’allora Capo dello Stato. Nel nome di ‘pensioni di
anzianità’. Da allora, non solo molta acqua è passata sotto i ponti del Tevere.
La previdenza è stata drasticamente riformata sotto tutti i punti di vista: età
per andare in quiescenza, metodo di calcolo per derivare le spettanze, e via
discorrendo. Oggi le pensioni di anzianità non solo non esistono più ma tra le
giovani generazioni se le ricordano unicamente coloro che studiano per un
dottorato in storia economica. Dal 1995 comunque, la parola ‘P…..’ non poteva
essere pronunciata di fronte a Silvio
Berlusconi senza irritarlo.
Il Presidente del
Consiglio in carica dovrebbe tenerlo a mente. E tenere a freno quei suoi
collaboratori che vorrebbero portarla di nuovo al centro del dibattito
politico. Il tema è le ‘pensioni d’oro’ o ‘argento’. Dopo gli ultimi
provvedimenti (quali il tetto su altri redditi dalle pubbliche amministrazioni
a chi fruisce di assegni previdenziali elevati) riguardano poche centinaia di
persone ed eventuali prelievi non darebbero luogo a gettito (o riduzione di
spesa) di rilievo. Tuttavia, le ‘pensioni d’oro’ o ‘argento’ sarebbe il
grimaldello per altri interventi: il ricomputo delle spettanze sulla base del
metodo contributivo, il versamento mensile in busta paga delle somme ora
accantonate per trattamento di fine servizio (tfr), un canale INPS per la
previdenza complementare ed altre misure del genere. Si tratta di idee
scarsamente attuabili: il ricomputo non è fattibile per il pubblico impiego per
i periodi di servizio precedenti il 1995 (non esistono i dati), il versamento
del tfr in busta paga aggraverebbe la situazione finanziaria di gran parte
delle piccole e medie imprese, fare entrare l’INPS non solo aggraverebbe un
istituto che ha già serie difficoltà a svolgere i compiti ad esso propri ma
rappresenterebbe un colpo per i fondi pensione (specialmente per quelli
negoziati con i sindacati).
Oltre a queste
serie perplessità sulla fattibilità tecnica (non si sono menzionate che le
principali) , ci sono seri problemi giuridici e politici. In primo luogo,
numerose sentenze della Corte Costituzionale hanno definito le pensioni ‘un
salario differito’; il Parlamento può modificarlo prime se ne abbia titolo, non
dopo. Altre sentenze della Corte Costituzionale hanno bloccato misure
discriminatorie, quali i ‘contributi di solidarietà’ in quanto diretti nei
confronti soltanto della categorie dei pensionati. In queste settimane c’è un
vero e proprio diluvio di ricorsi nei confronti dei ‘contributi’ introdotti con
l’ultima legge di stabilità. E’ facile prevedere il loro esito.
Sotto il profilo
politico, basta pensare che l’età mediana degli elettori (ossia quello attorno
alla quale si addensa il maggior numero) si avvicina ai cinquanta anni e che
oltre la metà degli iscritti ai maggiori sindacati sono pensionati. Una marea
maggiore di quella che travolse il Governo Berluscuni nell’inverno 1994-95.
1 commento:
Egregio Dott Pennisi,
il testo di questo articolo si presenta troncato da sinistra.
Per altro, e' molto interessante.
Cordiali saluti.
Michel.
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