Perché
l’Unione bancaria europea è un gigante zoppo
17 - 04 -
2014Giuseppe Pennisi
La sera del 14 aprile, il Parlamento Europeo (PE) ha
approvato, a grande maggioranza (570 voti a favore, 88 contrari e 13 astenuti)
, l’intesa inter-istituzionale raggiunta a fine marzo tra Commissione Europea
(CE), Consiglio dei Ministri Europeo (CME) e PE medesimo in materia di
“risoluzioni” (termine elegante per dire “fallimenti”) di istituti di credito
tali da poter “contagiare” il resto del sistema finanziario europeo.
Su Formiche.net del 26
marzo abbiamo commentato l’intesa affermando che essa assomiglia ad un “gioco
dell’oca” per i numerosi passaggi che comporta ed il centinaio circa di persone
coinvolte nel prendere la decisione sull’accesso, o meno, a un apposito ‘fondo
di risoluzione’ per facilitare ricapitalizzazioni e ristrutturazioni.
L’approvazione da parte del PE rappresenta un “atto politico” più che economico
o finanziario. Con l’attuale sessione, tenuta non a Bruxelles ma nella tanto
grandiosa quanto poco utilizzata sede del PE a Strasburgo, si chiude, venerdì
18 aprile, la legislatura. Numerosi parlamentari uscenti entrano in campagna
elettorale per le elezioni che si terranno, in varie date, a seconda di
ciascuno dei 28 Stati membri, a fine maggio. Dopo oltre due anni di negoziati,
i parlamentari non volevano lasciare un Unfinished Business ai
loro successori. Molti parlamentari europei (anche e soprattutto tra coloro che
hanno votato in favore all’intesa) sono consapevoli che la prossima legislatura
dovrà riprendere in mano la materia in quanto è stato creato un “gigante zoppo”
prima ancora che incompleto.
E’ un “gigante zoppo” in primo luogo perché l’unione
bancaria sarebbe dovuta essere un tavolo a tre gambe, come quelli, con un
ripiano di marmo, che facevano bella mostra nelle case borghesi dell’Ottocento.
Di queste gambe ne manca una: quella relativa alla disciplina comune sui
depositi bancari. Quasi alla tredicesima ora, l’intesa approvata dal PE (senza
però un voto formale, in pratica con uno strumento, come una risoluzione, che
ha minore valore giuridico) contiene l’impegno dei 28 Stati membri dell’Unione
Europea a fornire garanzie ai depositi in conto corrente sino 100.000 euro. E’
un impegno che può essere assolto in vario modo; già adesso in numerosi Stati
dell’UE in caso di fallimenti bancari, la garanzia dello Stato non vincola sui
tempi: ossia se si chiedono allo sportello i 100.000 euro ‘garantiti’ si
possono ottenere ‘a rate’, pure pluriennali.
Inoltre, la prima gamba – l’affidamento alla Banca
centrale europea (Bce) della vigilanza diretta su 130 ‘grandi’ istituti e
l’omologazione delle regole, procedure e prassi di vigilanza da parte delle
autorità nazionali (non sempre o necessariamente banche centrali nazionali– sta
facendo tremare le vene. La Bce ha costruito una seconda Eurotower ed ha
lanciato un vasto programma di assunzioni (si leggono annunci su The
Economist quasi ogni settimana). Tuttavia, i primi stress test Bce
non sono stati esenti da critiche. Concordo a pieno con il giudizio di Guntram
B.Wolff , direttore del centro di ricerche Bruegel, “in questa delicata
materia, la Bce può fare errori in perfetta buonafede perché manca di un
cultura della vigilanza e deve fondere numerose culture in brevissimo tempo”.
E’ fin troppo facile, in queste condizioni, interpretare numeri di bilanci o di
rapporti semestrali in modo non corretto. Inoltre – è sempre Wolff a
dircelo – ”la vigilanza Bce deve essere parimenti rigorosa con un
istituto in Germania ed uno in Grecia nonostante le profonde differenze nelle
culture valoriali dei due Paesi”. Dubito che in mancanza di un vero
Governo europeo a supporto della Bce ciò possa avvenire.
La gamba appena approvata è molto complessa (come
descritto il 26 marzo su questa testata). I rischi irrisolti sono due: a)
un bali–in (ossia perdita da mettere a carico di azionisti, di
manager e di creditori) non adeguato e b) un sistema decisionale ‘ barocco’ che
potrebbe aggravare crisi contenibili e causare corse agli sportelli. In ambedue
i casi, in nome dell’Europa, si andrebbe a pescare nelle tasche di contribuenti
che già ora ritengono, a torto o ragione, di essere vessati da un UE di cui
avvertono più costi che benefici.
Nessun commento:
Posta un commento