FINANZA/ 1.
I numeri della Germania che possono aiutare l'Italia
Pubblicazione: lunedì 28 aprile 2014
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NEWS Economia e Finanza
La pubblicazione il 23 aprile da parte dell’Eurostat
di quello che possiamo chiamare Il Rapporto sullo stato dell’Eurozona ha
dato la stura a molteplici commenti. Da un lato, numerosi economisti hanno
mostrato soddisfazione per il fatto che nel 2013, per la prima volta dal 2008,
in aggregato, l’area dell’euro ha centrato l’obiettivo di un indebitamento
netto delle pubbliche amministrazioni non superiore al 3% del Pil. Da un altro,
molti commenti hanno riguardato il surplus della bilancia commerciale tedesca,
sottolineando (correttamente) che se non ci fosse l’euro (con la bassa
produttività dei paesi dell’Europa meridionale) la moneta della Germania
avrebbe subito un ancor maggior apprezzamento che avrebbe contenuto il proprio
saldo. Alcuni si sono spinti in tesi fantasiose, secondo cui il sistema di
transazioni interbancarie Target 2 definito nell’ambito della moneta unica
finirebbe con il favorire il trasferimento del rischio di credito della
Bundesbank alla Banca centrale europea. Ergo, i tedeschi dovrebbero compensare
gli altri per questo vantaggio, se del caso mutualizzando parte del debito
pubblico altrui.
Quasi in parallelo con il documento Eurostat, è uscito
(ma ha avuto poca eco in Italia) lo studio del Luxembourg Income Study
Database, forse la migliore banca dati su redditi e consumi in Europa:
dall’analisi risulta un forte contenimento dei salari tedeschi (dal 2000 al
2010 hanno avuto, al netto di imposte e oneri sociali, un aumento totale
solamente dell’1,4%). Si potrebbe argomentare che per spingere l’export il
meccanismo tedesco di co-determinazione e di rappresentanza dei sindacati nei
consigli di gestione delle impresse abbia implicato una politica di
contenimento delle buste paga.
Credo che il “dilemma della Germania” vada affrontato
con ponderazione. In primo luogo, la Germania degli anni Ottanta (prima
dell’unificazione) era già in una situazione analoga a quella in cui si trovava
ai tempi di Bismarck: tanto importante (sotto il profilo economico) che un suo
starnuto avrebbe provocato la polmonite ai vicini ma non sufficientemente
importante da potersi prendere cura di tutti i problemi europei.
Con l’unificazione, le priorità della Repubblica
Federale cambiarono: l’obiettivo era quello di facilitare il processo di unità
nazionale con una politica di bilancio espansionista controbilanciata da un
forte rigore monetario. Sarebbe risultato un forte apprezzamento del marco
tedesco rispetto a dollaro o yen: per i paesi che facevano parte degli accordi
europei sui cambi si trattava di decidere se seguire il marco o far saltare gli
accordi in questione. Ci si illuse di “mutualizzare” la politica monetaria: la
Bce avrebbe temperato la Bundesbank e il resto della politica economica
tedesca. Senza pensare che portare i “fratelli separati” a livelli di vita
occidentali era una priorità non solo economica ma politica, sociale e
culturale.
Per raggiungere questi obiettivi, vincolata (a ragione
degli impegni dell’eurozona) in materia di politica di bilancio, la Germania ha
attuato una drastica revisione del proprio sistema economico, specialmente di
quello del lavoro e della previdenza. Nel 1990 - lo documenta Luxembourg Income
Study Database - la classe media tedesca poteva sembrare strapagata rispetto ai
vicini: i salari mediani superavano quelli olandesi del 10% e quelli britannici
del 30%. È stata attuata, senza dubbio, una politica di compressione, ma non
per potenziare l’export: l’obiettivo era la convergenza con i tedeschi dei
Länder orientali. L’analisi comparata rivela, inoltre, che il contenimento
salariale ha ridotto i consumi di lusso, ma non quelli per la casa, per i
servizi pubblici, per la cultura. E tanto meno le politiche dell’occupazione e
del lavoro: oggi il tasso di disoccupazione tedesco è pari al 6,7% della forza
lavoro, rispetto al 12% dell’eurozona, al 13% dell’Italia, al 26% della Spagna
e al 27% della Grecia.
A mio avviso, la Germania ha risolto con saggezza i
propri dilemmi. Noi dovremmo utilizzare un equilibrio analogo nell’affrontare i
nostri. Tanto più che non lo abbiamo fatto quando nel 1999-2004 la politica
tedesca ci ha indirettamente fatti fruire di una stagione di tassi d’interesse
relativamente bassi.
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