MAASTRICHT: URGE UN TAGLIANDO
Giuseppe Pennisi
Quando uscirà questo articolo, si saprà se il Parlamento Europeo
ha approvato il compromesso sul secondo pilastro di quella che dovrebbe essere
l’unione bancaria europea faticosamente raggiunto tra numerosi soggetti a fine
marzo. E sarà in corso una campagna elettorale europea in cui negli Stati
dell’eurozona, numerosi partiti e candidati si presentano , in vario modi,
ostili alla moneta unica e chiedono in
diversa misura cambiamenti delle regole che presiedono al suo funzionamento:
dall’abolizione a modifiche profonde del Fiscal
Compact a cambiamenti di dettaglio a questa o quella norma.
In questa rubrica, e nel quotidiano telematico a cui la rivista è
associata, sosteniamo da mesi che, anche ove il secondo pilastro dell’unione
bancaria venisse approvato, è urgente fare un tagliando complessivo al Trattato
di Maastricht ad un quarto di secolo circa da quando lo si è negoziato.
Soprattutto in quanto la situazione economia europea – prima ancora che
mondiale – ha avuto un’evoluzione molto differente da quella concepita, nel
1990-91, dai ‘padri fondatori’ dell’unione monetaria. Allora si pensava che
grazie alla clausole del Trattato si sarebbe andati non proprio verso l’area
valutaria ottimale teorizzata da Robert Mundell ma verso una convergenza delle
economie degli Stati aderenti all’euro. E’ sotto gli occhi di tutti, invece,
una sempre più insidiosa divergenza con sempre più gravi risvolti economici,
sociali e politici.
Da anni, in effetti, si sta riscrivendo il Trattato di Maastricht.
Ma a pezzi e bocconi. Per tamponare questa o quella crisi e fare fronte ad
emergenze , m senza una chiara idea , per utilizzare il linguaggio colloquiale,
su dove si andrà a parare. Già nel 2005 , un ‘protocollo interpretativo’
allentò i vincoli, togliendo (allora) le castagne dal fuoco a Francia e
Germania. Di fronte alla crisi della Repubblica Ellenica si reagì creando fondi
ed istituzioni che sarebbero anatema in un’area valutaria ottimale in linea con
il teorema per cui Mundell si meritò il Nobel per l’Economia. Oggi si sta creando
un’unione bancaria con pilastri pendenti; si può solo augurare che abbiano le
qualità della torre nella pisana Piazza dei Miracoli.
Occorre ricordarsi , in piena buona fede, che il Trattato di
Maastricht è stato redatto frettolosamente, sotto la spinta delle conseguenze
dell’unificazione tedesca sul resto d’Europa. È naturale , non solo corretto, che le istituzioni e le norme “evolvano”.
E che i ‘tagliandi’ sono utili alle norme come alle automobili. Senza un quadro
di riferimento, c’è il pericolo che tra qualche anno l’eurozona assomigli al
vestito d’Arlecchino – una serie di toppe multicolori , oggetto di infinite
vertenze giuridiche sulla loro interpretazione ed applicazione.
Tra poche settimane, l’Italia presiederà gli organi di governo dell’Unione Europea (UE): perché non cogliere
l’occasione non necessariamente di rinegoziare il Trattato di Maastricht ma di
giungere ad un chiarimento su dove si vuole arrivare e come si vuole farlo?
Soprattutto se prima di allora avremmo dato prova che stiamo rimettendo ordine
a casa nostra.
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