Crisi bancarie, il meccanismo è imperfetto
GIUSEPPE PENNISI
Nei corridoi della Banca centrale europea, il cui Consiglio si riunisce oggi, a tener banco non sono i temi di breve periodo, ma il futuro dell’Unione bancaria europea in vista del voto del Parlamento Europeo. Il 14 aprile, infatti, l’Aula di Strasburgo dovrebbe ratificare o meno l’accordo raggiunto tra le varie istituzione coinvolte circa dieci giorni fa dopo una riunione ininterrotta di 16 ore. È un accordo complesso, di cui soltanto alla fine della settimana scorsa (il 28 marzo) è stato possibile mettere a punto un testo definitivo.
Se, per un motivo o per un altro, ci sarà un rinvio, il testo ora disponibile verrebbe presentato al Parlamento risultante dalle elezioni del 25 maggio. Non verrebbe, però, messo all’ordine del giorno prima dell’autunno, poiché la nuova assemblea sarà assorbita da adempimenti istituzionali (elezioni del Presidente e dei suoi vice, formazione delle Commissioni, definizione dei gruppi parlamentare).
Dopo la lunga nottata negoziale, però, non sono pochi coloro che pensano che tale alternativa avrebbe il difetto di ammantare di una dose di incertezza i tempi e i contenuti del secondo pilastro dell’Unione bancaria, ma potrebbe portare ad un accordo migliore di quello giudicato «altamente imperfetto» non solamente dal Financial Times .
Cos’è tale secondo pilastro? È quello relativo alle procedure con cui affrontare crisi bancarie che porterebbero al fallimento dell’istituto coinvolto e potrebbero «contagiare » altri istituti dell’Unione europea (l’accordo non riguarda solo l’Eurozona ma è aperto ad altre parti contraenti che volessero aderire). Il primo pilastro (già sostanzialmente in fase di avvio) è il meccanismo comune di vigilanza. Il terzo, per il momento accantonato, riguarda l’armonizzazione delle garanzie sui depositi in conto corrente (da rafforzare con un’eventuale 'garanzia europea' da aggiungere a quelle nazionali).
Il secondo pilastro contempla l’uniformarsi delle procedure per le crisi bancarie degli Stati contraenti, secondo una direttiva approvata nel dicembre 2012 (ed in fase di attuazione), un Fondo di risoluzione di 55 miliardi (che le banche degli Stati coinvolti dovrebbero versare in otto anni) ed una procedura di risoluzione imperniata su un apposito Consiglio. Il Fondo potrà avere una 'capacità rafforzata' di intervento, ossia la potestà, se necessario, di garantire l’accesso di denaro fresco. Inoltre viene concentrata nella Banca centrale europea l’istruttoria che dovrebbe portare a decidere se aiutare una banca in difficoltà a ristrutturarsi, se mettere in atto un’operazione di salvataggio o se abbandonarla al proprio destino. Ma le scelte verranno effettuate dal Consiglio di Risoluzione, che delibererà in materia di risoluzione, a maggioranza qualificata.
I nodi sono due. In primo luogo, la decisione se utilizzare il fondo (ad esempio, per creare una
bad bank ) coinvolge un centinaio di persone e potrebbe durare più di un fine settimana a mercati chiusi (come si sostiene a Bruxelles). In tal caso, la crisi verrebbe accelerata (ed anche ampliata): appena si sparge la notizia che questo o quell’istituto è 'in procedura', scatterebbe una corsa agli sportelli. In secondo luogo, il Fondo di risoluzione (finanziato dalle banche) è modesto. Una volta esaurito, il costo graverebbe non sugli azionisti e gestori dell’istituto nei guai, ma sui governi. Ossia sui contribuenti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L’analisi
Dal ruolo della Bce fino ai compiti del nuovo Fondo di risoluzione, ecco i nodi da sciogliere per evitare rischi di contagio
GIUSEPPE PENNISI
Nei corridoi della Banca centrale europea, il cui Consiglio si riunisce oggi, a tener banco non sono i temi di breve periodo, ma il futuro dell’Unione bancaria europea in vista del voto del Parlamento Europeo. Il 14 aprile, infatti, l’Aula di Strasburgo dovrebbe ratificare o meno l’accordo raggiunto tra le varie istituzione coinvolte circa dieci giorni fa dopo una riunione ininterrotta di 16 ore. È un accordo complesso, di cui soltanto alla fine della settimana scorsa (il 28 marzo) è stato possibile mettere a punto un testo definitivo.
Se, per un motivo o per un altro, ci sarà un rinvio, il testo ora disponibile verrebbe presentato al Parlamento risultante dalle elezioni del 25 maggio. Non verrebbe, però, messo all’ordine del giorno prima dell’autunno, poiché la nuova assemblea sarà assorbita da adempimenti istituzionali (elezioni del Presidente e dei suoi vice, formazione delle Commissioni, definizione dei gruppi parlamentare).
Dopo la lunga nottata negoziale, però, non sono pochi coloro che pensano che tale alternativa avrebbe il difetto di ammantare di una dose di incertezza i tempi e i contenuti del secondo pilastro dell’Unione bancaria, ma potrebbe portare ad un accordo migliore di quello giudicato «altamente imperfetto» non solamente dal Financial Times .
Cos’è tale secondo pilastro? È quello relativo alle procedure con cui affrontare crisi bancarie che porterebbero al fallimento dell’istituto coinvolto e potrebbero «contagiare » altri istituti dell’Unione europea (l’accordo non riguarda solo l’Eurozona ma è aperto ad altre parti contraenti che volessero aderire). Il primo pilastro (già sostanzialmente in fase di avvio) è il meccanismo comune di vigilanza. Il terzo, per il momento accantonato, riguarda l’armonizzazione delle garanzie sui depositi in conto corrente (da rafforzare con un’eventuale 'garanzia europea' da aggiungere a quelle nazionali).
Il secondo pilastro contempla l’uniformarsi delle procedure per le crisi bancarie degli Stati contraenti, secondo una direttiva approvata nel dicembre 2012 (ed in fase di attuazione), un Fondo di risoluzione di 55 miliardi (che le banche degli Stati coinvolti dovrebbero versare in otto anni) ed una procedura di risoluzione imperniata su un apposito Consiglio. Il Fondo potrà avere una 'capacità rafforzata' di intervento, ossia la potestà, se necessario, di garantire l’accesso di denaro fresco. Inoltre viene concentrata nella Banca centrale europea l’istruttoria che dovrebbe portare a decidere se aiutare una banca in difficoltà a ristrutturarsi, se mettere in atto un’operazione di salvataggio o se abbandonarla al proprio destino. Ma le scelte verranno effettuate dal Consiglio di Risoluzione, che delibererà in materia di risoluzione, a maggioranza qualificata.
I nodi sono due. In primo luogo, la decisione se utilizzare il fondo (ad esempio, per creare una
bad bank ) coinvolge un centinaio di persone e potrebbe durare più di un fine settimana a mercati chiusi (come si sostiene a Bruxelles). In tal caso, la crisi verrebbe accelerata (ed anche ampliata): appena si sparge la notizia che questo o quell’istituto è 'in procedura', scatterebbe una corsa agli sportelli. In secondo luogo, il Fondo di risoluzione (finanziato dalle banche) è modesto. Una volta esaurito, il costo graverebbe non sugli azionisti e gestori dell’istituto nei guai, ma sui governi. Ossia sui contribuenti.
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