mercoledì 2 aprile 2014

Crisi bancarie, il meccanismo è imperfetto in Avvenire del 3 aprile

Crisi bancarie, il meccanismo è imperfetto


GIUSEPPE PENNISI

N
ei corridoi della Banca centrale europea, il cui Consiglio si riunisce oggi, a tener banco non sono i temi di breve periodo, ma il futuro dell’Unione bancaria europea in vi­sta del voto del Parlamento Europeo. Il 14 apri­le, infatti, l’Aula di Strasburgo dovrebbe ratifi­care o meno l’accordo raggiunto tra le varie isti­tuzione coinvolte circa dieci giorni fa dopo una riunione ininterrotta di 16 ore. È un accordo complesso, di cui soltanto alla fine della setti­mana scorsa (il 28 marzo) è stato possibile met­tere a punto un testo definitivo.

Se, per un motivo o per un altro, ci sarà un rin­vio, il testo ora disponibile verrebbe presentato al Parlamento risultante dalle elezioni del 25 maggio. Non verrebbe, però, messo all’ordine del giorno prima dell’autunno, poiché la nuova assemblea sarà assorbita da adempimenti isti­tuzionali (elezioni del Presidente e dei suoi vice, formazione delle Commissioni, definizione dei gruppi parlamentare).

Dopo la lunga nottata negoziale, però, non so­no pochi coloro che pensano che tale alternati­va avrebbe il difetto di ammantare di una dose di incertezza i tempi e i contenuti del secondo
pilastro dell’Unione bancaria, ma potrebbe portare ad un accordo migliore di quello giudicato «alta­mente imperfetto» non solamente dal Financial Times .
Cos’è tale secondo pilastro? È quel­lo relativo alle procedure con cui affrontare crisi bancarie che por­terebbero al fallimento dell’istitu­to coinvolto e potrebbero «conta­giare » altri istituti dell’Unione eu­ropea (l’accordo non riguarda so­lo l’Eurozona ma è aperto ad altre parti contraenti che volessero a­derire). Il primo pilastro (già sostanzialmente in fase di avvio) è il meccanismo comune di vigi­lanza. Il terzo, per il momento accantonato, ri­guarda l’armonizzazione delle garanzie sui de­positi in conto corrente (da rafforzare con un’e­ventuale 'garanzia europea' da aggiungere a quelle nazionali).

Il secondo pilastro contempla l’uniformarsi del­le procedure per le crisi bancarie degli Stati con­traenti, secondo una direttiva approvata nel di­cembre 2012 (ed in fase di attuazione), un Fon­do di risoluzione di 55 miliardi (che le banche de­gli Stati coinvolti dovrebbero versare in otto an­ni)
ed una procedura di risoluzione imperniata su un apposito Consiglio. Il Fondo potrà avere una 'capacità rafforzata' di intervento, ossia la potestà, se necessario, di garantire l’accesso di denaro fresco. Inoltre viene concentrata nella Banca centrale europea l’istruttoria che do­vrebbe portare a decidere se aiutare una banca in difficoltà a ristrutturarsi, se mettere in atto un’operazione di salvataggio o se abbandonar­la al proprio destino. Ma le scelte verranno ef­fettuate dal Consiglio di Risoluzione, che deli­bererà in materia di risoluzione, a maggioranza qualificata.

I nodi sono due. In primo luogo, la decisione se utilizzare il fondo (ad esempio, per creare una


bad bank )
coinvolge un centinaio di persone e potrebbe durare più di un fine settimana a mer­cati chiusi (come si sostiene a Bruxelles). In tal caso, la crisi verrebbe accelerata (ed anche am­pliata): appena si sparge la notizia che questo o quell’istituto è 'in procedura', scatterebbe una corsa agli sportelli. In secondo luogo, il Fondo di risoluzione (finanziato dalle banche) è mode­sto. Una volta esaurito, il costo graverebbe non sugli azionisti e gestori dell’istituto nei guai, ma sui governi. Ossia sui contribuenti.

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L’analisi


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