Da un
semplice taglio agli sprechi pubblici alla spending di qualità
GIUSEPPE PENNISI
La spending review firmata da Carlo Cottarelli comincia a prendere corpo. È auspicabile che non sia un episodio singolo, come lo state quelle condotte negli anni Novanta da Fiorella Kostoris all’Ispe e in tempi più recenti da Piero Giara e da Enrico Bondi. Il presidente del Consiglio ha fornito più volte rassicurazioni a riguardo. Tuttavia, l’incarico del commissario alla review è triennale. Soprattutto, il compito deve essere svolto in via permanente da un organo dello Stato. E in analogia con quanto avviene in altri Paesi dove tali operazioni hanno avuto successo, dovrebbe essere funzione di chi ha la responsabilità tecnica di formulare e monitorare il bilancio, ossia della Ragioneria generale.
Sarebbe in ogni caso limitativo considerare la revisione della spesa come un’operazione per individuare sprechi da eliminare o ridurre. L’obiettivo deve essere non solo diminuire il peso complessivo della spesa pubblica sul reddito nazionale, ma migliorarne la qualità mirando a rendimenti elevati in termini economici e sociali. Ci sono da decenni metodologie e tecniche per migliorare la qualità della spesa in parallelo con la sua riduzione. Il metodo adottato più di frequente è proprio l’analisi dei costi e dei benefici sociali: manuali operativi sono stati pubblicati negli anni Ottanta e Novanta e, nel 2007, una guida è stata edita dalla Scuola nazionale d’Amministrazione. Il Cnel ha provveduto a un aggiornamento dei parametri di base un anno e mezzo fa e l’Unità di valutazione del ministero per lo Sviluppo economico sta effettuando ulteriori affinamenti. C’è una vasta casistica di esperienze italiane (dalle analisi per le grandi infrastrutture a quelle per la transizione dalla televisione analogica al digitale terreste). Dal 1999 una legge dello Stato richiede che la metodologia venga utilizzata per la spesa pubblica in conto capitale. La legge è però applicata solo per i grandi investimenti cofinanziati con la Commissione europea, mentre dovrebbe estesa alla spesa di parte corrente. Quel che più conta è l’esempio di esperienze straniere di successo, quali il Programme de rationalization des choix budgettaire che negli anni Ottanta ha portato al riassetto della finanza pubblica in Francia (i guai sono cominciati quando lo si è accantonato) e soprattutto la legge americana del 1981 che la impone per tutte le norme di spesa, unica legge che in 33 anni non è stata soppressa o modificata nonostante i cambiamenti di inquilini alla Casa Bianca e di maggioranze in Congresso.
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Il metodo adottato più di frequente all’estero è l’analisi dei costi e dei benefici sociali. Da noi vale solo per i cofinanziamenti Ue
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