OPERA/ I
Troiani fanno impazzire La Scala
Pubblicazione: venerdì 11 aprile 2014
Le Troyans alla Scala
NEWS MILANO
Alla metà circa di una stagione (2013-2014), ultima
della gestione Lissner, in cui il pubblico, particolarmente quello del
loggione, si è mostrato insofferente a regie innovative, alcune riprese di
spettacoli degli anni scorsi hanno poco entusiasmato i critici e si respira
aria di attesa nei confronti dell’arrivo di un nuovo Sovrintendente, Les
Troyens di Hector Berlioz sono sbarcati alla Scala l’8 aprile (e vi
resteranno sino al 30) ed hanno messo tutti d’accordo: dopo circa sei ore in
teatro, platea, palchi, galleria e loggione hanno salutato lo spettacolo (che
era iniziato alle 17,30 ed è terminato quasi alle 23,30) con quindici minuti di
ovazioni dopo averlo interrotto più volte con calorosi applausi ai cantanti ed
all’orchestra.
Quale la ricetta del miracolo? In primo luogo, due
parole su Les Troyens. Berlioz (Prix de Rome e pensionnaire di
Villa Medici, appassionato dell’Italia e lettore avido di Virgilio) la aveva
concepita negli anni del secondo Impero, come una tragédie lyrique da
contrapporre al melodramma verdiano, al grand opéra (che allora assumeva sempre
più le caratteristiche di spettacolo nazional-popolare) e soprattutto al
musikdrama wagneriano che allora acquistava sempre maggiori fedeli in Francia.
Scrisse il libretto, e compose la musica, di un lavoro smisurato: un organico
orchestrale maggiore di quelli richiesti dalle maggiori opere di Wagner, ben 22
solisti , balletti, cinque atti di una durata complessiva (se eseguiti
senza alcuna interruzione) analoga a quella de I Maestri Cantori di Norimberga
wagneriani ma che richiedeva intervalli se non altri per il complesso apparato
scenico (l’ingresso del Cavallo nelle Mura di Troia, l’incendio della città,
l’approdo delle navi troiane a Cartagine, una ‘caccia reale’, una
tempesta, partenza della flotta troiana verso l’Italia, olocausto di Didone con
tanto di pira). Vennero messi in scena, lui vivente, solo i tre ultimi
primi atti in un’opera chiamata Les Troyens à Carthage . I due
primi atti vennero pubblicati separatamente con il titolo La Prise de Troye.
Per circa un secolo, le due opere vennero rappresentate separatamente. Vennero
fuse in un unico lavoro, soprattutto in Germania (ed in traduzione tedesca)
operando numerosi tagli ed interpolazioni . In effetti, solamente nel 1957 è
stata messa a punto un’edizione critica del lavoro.
Da allora, si pone il problema della rappresentazione
scenica per l’enorme costo che essa comporta. Al Teatro alla Scala questa è
solo la quarta volta in cui Les Troyens va in scena. La prima volta su
nel lontano 1960, ma in versione ritmica in italiano. Versioni integrali venne
presentate (per poche repliche) nel 1982 e nel1996 con regia di Ronconi e con ,
sul Podio, Prêtre nel 1982 e Davis nel 1996. Ho contezza di un solo altro
teatro italiano che abbia avuto il coraggio di mettere l’opera in scena
nell’edizione critica: il Maggio Musicale Fiorentino nel 2002, con Metha sul
podio la regia di Vick; coprodotto con l’opera di Amsterdam, ricordo un’ottima
esecuzione musicale (Mehta aveva la bacchetta) ma una discutibile lettura
‘politica’ con forti accenti antimilitaristi ed un’ambientazione atemporale
astretta (la seconda parte in un contesto tropicale).
L’edizione ora alla Scala è anch’essa il frutto della
collaborazione di vari teatri: ha debuttato al Covent Garden a Londra, e dopo
Milano andrà a Vienna e a San Francisco. E’ , inoltre , il frutto di accordi
con case televisive e probabilmente di vedrà in varie sale cinematografiche in
tutto il mondo.
Il pubblico del Metropolitan e di San Francisco (nonché della
stessa Scala) non apprezza regie troppo innovative. L’allestimento di David
McVicar (scene di Es Devlin, costumi di Moritz Junge, luci di Wolfgang Goebble,
coreografia di Lynne Page) non cade, però, come avvenne a Ronconi (1982, 1996)
nel ‘colossal hollywoodiano) alla Quo Vadis : l’azione è
spostata all’epoca di Berlioz, con i primi due atti in un contesto che potrebbe
essere la guerra franco-prussiana, e gli ultimi tre in una Nord-Africa che
ricorda quella dei primi imperi coloniali che si formavano alla fine
dell’Ottocento. Lo spettacolo utilizza tutte le tecnologie scenica disponibili:
è rispettoso del testo e della musica (una tragédie liryque imperniati
sui drammi umani ma senza un ‘messaggio politico’ predeterminato).
La drammaturgia è in piena sintonia con la bacchetta di Antonio
Pappano, fedelissimo ad una partitura basata sulle grandi opere imperiali di
Gluck e soprattutto Spontini ma che ha metabolizzato l’evoluzione musicale dei
primi sei decenni del diciannovesimo secolo (soprattutto quel Wagner a cui
Berlioz voleva contrapporsi). Pappano e McVicar hanno a disposizione ha grande
schiera di cantanti attori. Primeggiano Gregory Kunde, un Enea eroico,
innamorato ma consapevole del suo ‘dovere sociale’; Kunde ha ruolo difficile in
cui giunge al ‘si naturale’ e regala, oltre a splendidi acuti, magnifici
legati. Anna Caterina Antonacci (vorremo vederla più spesso in Italia) è una
Cassandra da manuale per i registri gravi a cui discende e la stupenda
recitazione. Impervia la parte di Daniela Barcellona (Didone) quasi sempre in
scena nei tre atti a Cartagine; la affronta con sicurezza entusiasmando il
pubblico sia nel grande duetto del quarto atto sia nei drammaticissimi secondo
e terzo quadro del quinto atto.
Tra gli altri , numerossimi, non si possono non citare Fabio
Capitanucci, Giacomo Prestia, Paolo Fanale, Maria Radner ed Elina Zilio – tutti
solisti di norma in ruoli da protagonisti e che in questo enorme lavoro hanno
accettato parti solo apparentemente secondario.
Con questi Les Troyens la Scala dimostra di
sapere essere all’apice dei grandi teatri internazionali di teatro in musica.
2 commenti:
Grazie per darci una svista su un'opera gigantesca... e da come la descrive, magistralmente esecutata.
Spero come dice lei che si potra' vedere presto in qualche cinema della Capitale.
Il maestro Pappano e' originario del paese di mio nonno materno... Castefranco in Miscano (BN).
Codiali saluti.
Michel Del Buono
Grazie per darci una svista su un'opera gigantesca... e da come la descrive, magistralmente esecutata.
Spero come dice lei che si potra' vedere presto in qualche cinema della Capitale.
Il maestro Pappano e' originario del paese di mio nonno materno... Castefranco in Miscano (BN).
Codiali saluti.
Michel Del Buono
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