Opera.
Molino s’ispira a Levi tra musica, pietà e solidarietà
Molino s’ispira a Levi tra musica, pietà e solidarietà
GIUSEPPE PENNISI
BOLOGNA
Occorre fare i complimenti al Teatro Comunale di Bologna per il coraggio di avere commissionato ad un compositore contemporaneo (Andrea Molino, classe 1964) un lavoro, Qui non c’è perché, ispirato da un episodio di Se questo è un uomo di Primo Levi. È lavoro di grande attualità, con cui si conclude quella che il compositore considera una trilogia in cui i primi due lavori ( Credo e Winners ) riguardano rispettivamente le relazioni interetniche ed interreligiose e i vincitori e i vinti della globalizzazione. Temi fortemente etici e religiosi – dopo tre opere che vertono su disastri ambientali ( Three Miles Island e Bophal ) e sulla pena di morte. Tutti di forte impegno civile e grande contenuto morale.
Qui non c’è perché è a Bologna sino al 29 aprile; successivamente andrà ad Anversa, Rotterdam e Ghent, i cui teatri lo coproducono. Si parla di possibili rappresentazioni in Australia e negli Stati Uniti.
È una produzione che richiede la partecipazione di più teatri, a ragione delle risorse da mettere in campo: un’orchestra di 80 elementi in buca, due ensemble di percussioni sul palcoscenico, due sassofonisti jazz a volte in scena, a volte in sala. L’orchestra fornisce un tappeto musicale quasi sinfonico (si avverte l’influenza di Ligeti e Messiaen) su cui si inseriscono il rock anni settanta ed il jazz. Due unici solisti (David Moss e Anna Linardou) ed una dozzina di giovani dell’Institute for Living Voice che cantano, danzano e recitano (in varie lingue). La scena è un impianto multimediale in cui si viaggia da interviste a giovani nelle strade di Bologna a muri divisori (tra vari segmenti della società) ad astrattismo puro. L’impianto risalta nella settecentesca Sala dei Bibiena del Comunale di Bologna con le sue eleganti file di palchi bianchi.
Il libretto (denso di citazioni: da Levi ad Arendt, da Shakespeare a Einstein a Sereny) sviluppa non una vicenda ma sette numeri musicali: dall’angoscia dell’emarginazione, principalmente giovanile, alla pietà connessa all’acquisizione del senso di responsabilità degli uni per gli altri e della Fede. Il titolo è la frase di un guardiano di lager che toglie a Levi il ghiaccio con cui tenta di vincere la sete – quindi la crudeltà più atroce dell’uomo contro l’uomo. Levi, e Molino (con il libretto di van Staten), ribattono: ma noi siamo qui proprio per sconfiggere il male. L’ultimo numero musicale del lavoro è la speranza per un’umanità migliore grazie alla consapevolezza acquisita dai giovani, dalla responsabilità degli uni per gli altri e dei loro occhi verso l’Alto. Al pari degli altri lavori di Molino anche questo, pur trattando temi di vasto respiro e di lunga durata, è di grande attualità, specialmente in un’Europa e in un’Italia in cui l’emarginazione giovanile è tema centrale delle politiche pubbliche.
È un po’ uno shock per il pubblico elegante delle 'prime'. È diretto anche a loro, non solo ai ragazzi che bivaccano sino alle ore piccole nel centro di Bologna e nei cui occhi si legge grande apprensione per il futuro.
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Una scena di «Qui non c’è perché»
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