sabato 26 aprile 2014

Caro Renzi, le ricordo che i cronoprogrammi portano solo sventure in Formiche 26 aprile



Caro Renzi, le ricordo che i cronoprogrammi portano solo sventure
26 - 04 - 2014Giuseppe Pennisi
Non credo che Matteo Renzi abbia conosciuto Robert S. McNamara (1916-2009) o che abbia letto il capolavoro di David Halbertam, a lungo direttore della redazione di Washington del New York Times, “The Best and the Brightest”. Nel libro, il primo mezzo secolo di vita dell’ex Segretario alla Difesa Usa ed ex Presidente della Banca Mondiale viene raccontato come se fosse una tragedia greca.
Tuttavia, se gli si presentasse in sogno, McNamara potrebbe dare all’attuale presidente del Consiglio preziosi consigli. Uno soprattutto: i crono programmi portano iella. McNamara non era superstizioso: era un presbiteriano rigoroso, nato (si direbbe) in una famiglia modesta (suo padre era un commesso viaggiatore per una ditta di scarpe), diventato ricchissimo (dopo una breve carriera di docente di statistica) grazie alla carriera alla Ford Motor Company (di cui fu presidente e amministratore delegato) ma che viveva abbastanza spartanamente (in Banca mondiale non utilizzava mai la macchina d’ufficio, veniva a piedi da casa ed a piedi vi tornava, e volava in classe economica). Apprese tutto sul catechismo della Chiesa Cattolica quando, a 88 anni, sposò a Venezia una vedova di origine italiana. Apprezzava i francescani. Quando ero giovane, ebbi la (buona) ventura di lavorare al suo fianco e di apprendere che i crono programmi non solo sono una parola cacofonica ma portano sventura. Specialmente nel settore pubblico e in politica.
McNamara lo aveva appreso sulla propria pelle negli anni passati al dicastero della Difesa. Aveva accettato un stipendio di 25.000 dollari l’anno (tanto veniva pagato un Ministro nell’America del 1961) invece degli 800.000 dollari fissi (più premio variabile) che prendeva alla Ford. John F. Kennedy gli aveva dato carta bianca in materia di collaboratori e di riorganizzazione del dicastero (in Asia cominciavano a soffiare venti di guerra). McNamara creò, tra l’altro, l’Office of Systems Analysis per tener sotto controllo lo Stato Maggiore (da cui temeva spese pazze) con crono programmi e spending reviews. Sappiamo come andò a finire: il Congresso impedì che il conflitto in Vietnam venisse finanziato con un aumento della pressione tributaria (innescando il processo che portò, nel Ferragosto 1971, alla fine del sistema monetario di Bretton Woods) e il conflitto in Asia andò, tra un crono programma e l’altro, andò di male in peggio sino alla sconfitta Usa nell’aprile 1975. Da otto anni, McNamara era stato “rottamato” da Lyndon B. Johnson alla Banca Mondiale – lontano dalla politica.
I crono programmi erano stati alla base del suo successo alla Ford: allo sviluppo ed alla produzione della Falcon, il primo concorrente americano del Maggiolino della Volkswagen (di cui i ‘McNamara boys’ avevano studiato i dettagli di produzione e di marketing). Nel settore pubblico, però, ebbero l’effetto opposto. Imposti allo Stato Maggiore, con lo stesso entusiasmo e la stessa buona fede che Renzi sta utilizzando nei confronti della giustizia amministrativa, del Consiglio di Stato e dei “mandarini” in generale, gli alienarono l’alta sfera dell’Amministrazione che, nonostante lo stuolo di collaboratori di sua fiducia portati con sé al Pentagono, gli smontarono, pezzo dopo pezzo, il programma (con il risultato di crono programmi sempre nuovi ed accavallati gli uni sugli altri).
Sul piano militare fu costretto ad adattarsi: nel 1967 i crono programmi cedettero il passo alla “risposta flessibile”, ma il tracciato era già segnato anche se ci vollero ancora anni prima della battaglia finale e della caduta di Saigon. Ancora peggio con il Congresso: l’allora potente Presidente della Commissione Finanze e Tesoro della Camera dei Rappresentanti reagiva ad ogni crono programma con frasi che non si ripetono di fronte a signore.
Quando McNamara arrivò in Banca mondiale, crono programma era diventato una parolaccia; lo considerava una trappola in cui era caduto mani e piedi quando era Segretario alla Difesa. Ci vuole sì un piano generale con obiettivi e strumenti precisi ma anche con la duttilità di adattarlo ai mutamenti di circostanze.
Pensaci su, Matteo.

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