lunedì 7 aprile 2014

LA CRISI DELLA LIRICA: LE LEZIONI DEI ‘TEATRI DI TRADIZIONE’ in Formiche mensile aprile



LA CRISI DELLA LIRICA: LE LEZIONI DEI ‘TEATRI DI TRADIZIONE’
Beckmesser
L’opera lirica è in seria crisi proprio nell’Italia dove è nata. Mentre in Asia (dagli Stati ex-sovietici una volta parte dell’Urss all’Estremo oriente) si aprono o sono in avanzato stato di costruzione ben 200 teatri per l’opera e la concertistica occidentale e negli Stati Uniti ci sono ogni anno almeno dieci prime assolute di nuove opere liriche, nel nostro Paese nove su 13 fondazioni liriche sono corse al Ministero per avere accesso al fondo speciale di credito agevolato per la ristrutturazione di enti in crisi. Il Teatro dell’Opera di Roma è stato sull’orlo di essere messo in liquidazione; il pericolo non è ancora completamente scampato.
Come abbiamo più volte sostenuto su Formiche , la stampa e la politica danno molta attenzione alla crisi delle fondazioni ma traggono relativamente poche lezioni dall’esperienza dei teatri ‘di tradizione’. Si tratta di 28 teatri per la maggior parte dislocati al Nord Ovest (8) ed al Nord Est del Paese (9); i restanti 10 si dividono fra Centro (5), Sud (2) e Isole (3).Le forme giuridiche più ricorrenti sono quella della Fondazione o di Ente pubblico. Sono sovente in città d’arte in edifici spesso vero e propri gioielli architettonici costruiti o dalla aristocrazia di antiche città-Stato o dalla borghesia , in forme consortili, dalla borghesia dell’Ottocento. Spesso è in questi teatri, finanziati in gran misura con risorse locali (sia pubbliche – Regione, Comune sia private – aziende , casse di risparmio, ‘mecenati’ di vario tipo) che in questi ultimi anni si è vista la maggiore innovazione sotto il profilo della drammaturgia, dello soluzioni scenografiche e dell’utilizzazione di giovani artisti. Sono anche quelli che più e meglio cercano e trovano pubblico giovane. La loro esperienza (ed i loro conti) sono stati di recente studiati dall’Università Bocconi in un apposito Quaderno ASK.
In questa rubrica abbiamo ad esempio sottolineato l’importanza della ‘trilogia’ Verdi –Shakespeare (Macbeth, Otello, Falstaff) che partita da Ravenna si sta vedendo in altre città. Di recente, l’Opera Studio dei teatri della Toscana (Pisa, Lucca e Livorno), che ha preso il Premio Abbiati (l’Oscar della lirica) per la carica innovativa della sua attività, ha messo in scena Les Contes de Hoffmann di Offenbach a basso costo (83.000 euro a recita tutto compreso- orchestra, coro, scene, costumi, cachet) che in autunno si vedrà a Novara. Il primo marzo è partito da Come l’Aida del progetto ‘Opera Domani’ che andrà, entro giugno, in oltre 25 teatri (alcuni grandi come l’Arcimboldi di Milano) per circa 60 recite. In autunno, nove teatri (quelli del circuito lombardo, il Pergolesi di Jesi, il Regio di Parma, il Pavarotti di Reggio Emilia ed il Teatro dell’Aquila di Fermo) si coalizzano per mettere in scena un Don Giovanni diretto da Graham Vick che intende sfidare alcune delle maggiori nuove produzioni dell’opera di Mozart. Altre iniziative in questa direzione sono in atto da anni e permettono ai teatri ‘di tradizione’ di portare per l’Italia spettacoli di alta qualità senza mettere a repentaglio i costi.
Occorre dire che alcune fondazioni stanno iniziando ad operare in questo senso. Aumentano , ad esempio, le coproduzioni tra i tre maggiori teatri del Mezzogiorno: il Massimo di Palermo, il San Carlo di Napoli ed il Petruzzelli di Bari. Pare l’uovo di Colombo: dato che il pubblico, di norma, non si muove da città a città (abitudine di pochi melomani) andiamo verso un ‘cartellone nazionale’, obbligando le fondazioni liriche a mettere in scena almeno il 70% di spettacoli in co-produzione.
Questa ipotesi , lanciata più volte, non si è mai realizzata perché parte (ormai minoritaria) dei sindacati del settore ha contrapposto il concetto di ‘teatro di produzione’ a quello di ‘teatro di circuitazione’. Il primo produrrebbe cultura. Il secondo commercio. E’ una contrapposizione ridicola specialmente in fondazioni con bassissimi livelli di produttività (un quarto della media europea) e con i costi di produzione più alti al mondo. L’esperienza dei teatri ‘di tradizione’ ne ha una prova concreta.


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