OPERA/ Salisburgo, la Pop Art e le guerre "pacioccone"
giovedì 30
agosto 2012
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Non solo Die Soldaten di Zimmermannz ma altre
due opere nel “bouquet” del Festival Estivo 2012 di Salisburgo trattano di
guerra: Giulio Cesare in Egitto di Georg Friedrich Händel (la cui
prima ha avuto luogo, al Festival il 23 agosto - dopo un’anteprima nel fine
settimana di Pentecoste- e che si vedrà a in vari teatri nelle prossime
stagioni) e Das Labyrinth (Il Labirinto) di Emanuel Schikaneder e
Peter von Winter (rappresentata in prima mondiale in tempi moderni il 3 agosto
e tra breve nei maggiori palcoscenici internazionali). Giulio Cesare in
Egitto è uno dei capolavori di Händel più noti e più rappresentati
in Italia (anche se raramente in versione integrale); i lettori de Il
Sussidiario.Net ricorderanno che nella primavera 2012 ne recensimmo un
bell’allestimento prodotto a Ravenna in collaborazione con altri teatri
italiani e stranieri (l’opera richiede un forte sforzo produttivo). Das
Labyrinth è la seconda puntata del mozartiano Flauto Magico. Wolfgang
Amadeus era morto da tempo ma il successo (800 repliche solo a Vienna in meno
di un lustro) spinse l’impresario (nonché librettista ed interprete del ruolo
di Papageno) a produrre una seconda parte, affidando la parte musicale a Peter
von Winter (musicista molto noto all’epoca, che con Mozart aveva avuto rapporti
personali difficili). Das Labyrinth andò in scena a Vienna nel 1799 e
collezionò circa un centinaio di repliche, venne ripresa in varie città, si
ritenne perduto sia il libretto sia la partitura sino a quando vennero ritrovati
nei polverosi scaffali dell’Opera (allora tempo imperiale, ora statale) di
Berlino, dove era andata in scena nel 1803.
Sono due lavori molto differenti: barocco il
primo, pre-romantico il secondo. Ambedue trattano di guerra. Il prima della
conquista dell’Egitto da parte dei romani mentre Cleopatra e Tolomeo si
litigavano il trono dei faraoni, ma l’astuto Händel teneva i due occhi puntati
sui conflitti in corso nella casa regnante britannica e nel Parlamento di
Westminister. Schikaneder e von Winter erano alle prese con un mondo ben
diverso da quello che aveva caratterizzato gli ultimi anni di Mozart: la
massoneria era stata posta fuori legge (quindi, l’opera non poteva avere
ammiccamenti al Grande Oriente) ed infuriavano le guerre napoleoniche (e , di
conseguenza, Sarastro diventava un generale, Tamino un ‘tenore spinto-eroico’,
non ‘lirico leggero’ e Pamino un soprano d’agilità).
A differenza di Die Soldaten , dove la
guerra è vista in tutta la sua tragicità, in Giulio Cesare in Egitto ed
in Das Labyrint la guerra è percepita quasi come un fondale ad
intrighi tra il politico ed il piccante. Occorre sottolineare che il
mistero del successo del teatro barocco, specialmente quello britannico, è
tutt’ora irrisolto. Composto da opere di durata lunghissima e poca azione
scenica, attirava pubblico e si finanziava con gli incassi in teatri per lo più
privati – a differenza di quanto avveniva nel Continente, dove i teatri erano
in gran parte “reali” o “ducali” e godevano di un lauto sostegno pubblico. In
più si parlava nei “recitativi” e si cantava in italiano, non in inglese; gli
spettacoli erano lunghissimi; le vicende, spesso complicatissime, venivano
raccontate dai cantanti piuttosto che rappresentate sul palcoscenico.
Le leggende dicono che nei palchetti, tra un’aria e
l’altra, si complottasse, si mangiasse, si bevesse e, tirate le tendine, si
fornicasse (spesso in quattro o in sei). Ricordiamo che poco più di un anno fa,
a Ravenna, la vicenda di Giulio Cesare in Egitto veniva
trasportata in un’improbabile avventura coloniale di fine ottocento e l’opera
veniva scorciata per durare circa tre ore e mezzo. A Salisburgo, siamo in piena
“Pop Art” . La regia è firmata da Mosher Leiser e Patrice Caurier, le scene da
Christian Fenouillat, i costumi da Agostino Cavalca. Il team si riallaccia ai
fumetti “Pop” con riferimenti molto palesi all’uomo di Stato che perde la testa
per una ninfetta (le allusioni paiono rivolte a Strauss Khan, ma potrebbe
trattarsi anche d’altri). Giovanni Antonini guida il complesso “Il Giardino
Armonico” che suona con strumenti d’epoca. Un vero cast internazionale (Andreas
Scholl, Cecilia Bartoli, Anne Sofie von Otter, Philippe Jarousski, Christophe
Dumeaux, Ruben Drole, Jochen Kawalski, Peter Kalman) con ben tre controtenori
ed un uomo con voce da contralto ed in ruolo femminile. Ovazioni dopo cinque
ore di musica (due intervalli), con qualche fischio alla regia “attualizzata”.
Lo spettacolo si vedrà molto probabilmente a Zurigo ed altrove.
Anche in Das Labyrinth siamo nel
mondo dei fumetti- quelli, però, delle “guerre pacioccone” che “Il Corriere dei
Piccoli” offriva negli Anni Cinquanta. La direzione musicale di Ivor Bolton, la
regia di Alexandra Lietke, le scene di Raimund Orfeo Voigt, i costumi di
Susanne Bisovsky e di Elisabeth Binder- Neururer, rendono lo spettacolo,
presentato nel cortile barocco dell’Arcivescovato di Salisburgo, molto
gradevole. Ivor Bolton alla guida dell’orchestra del Mozarteum e con 15 solisti
scelti con cura gli dato un buon piglio. Prevedo che tornerà a circolare
specialmente nel mondo di lingua e cultura tedesca.
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