Musica
Nell'anima
del MiTo
La sesta
edizione cerca di trovare finalmente un fil rouge e intanto celebra Debussy
di Giuseppe
Pennisi
La sesta
edizione di MiTo dovrebbe essere quella della svolta. Almeno questo è ciò che
appare leggendo il voluminoso programma. Da una manifestazione-labirinto,
diventa una manifestazione «con un'anima», ossia con un nodo centrale a cui, in
varia maniera, gli altri filoni si raccordano.
Si presenta sempre con un festival grandioso: nei 19 giorni di evento, che
ha luogo dal 5 al 23 settembre, si susseguono 190 appuntamenti nelle due
maggiori città dell'Italia del Nord, Milano e Torino. I concerti sono 156, più
di 4.100 gli artisti coinvolti, che hanno il compito di avvicinare alla musica
un pubblico nuovo e sempre più vasto. MiTo ha sempre la caratteristica di
essere un festival accessibile a tutti, grazie all'abbattimento dei prezzi e ai
tanti concerti offerti gratuitamente, nonché di coniugare differenti stili,
dalla musica antica al jazz e alla canzone d'autore passando per la grande
musica sinfonica e giungendo alla contemporaneità, a lungo trascurata in Italia
in generale, e al nord in particolare. L'obiettivo è diventare un evento
culturale che rappresenti però anche un'occasione di intrattenimento e divertimento,
di gioia dell'ascolto.
Da Debussy
alla canzone d'autore. Quindi, come nelle cinque edizioni precedenti, non manca
una buona dose di eclettismo nonché di eventi inseriti nel programma in quanto
parte di più vaste tournée in Italia: per esempio, il concerto di Yuri
Temirkanov con la Filarmonica di San Pietroburgo. C'è da augurarsi che venga
presentato nudo e crudo nella sua bellezza, anche plastica, senza far ricorso
ai filmati e agli altri audiovisivi che hanno accompagnato, disturbandola, la
sua esecuzione alla Terme di Caracalla a Roma. Questa volta l'eclettismo ha un
cuore ben preciso: i 150 anni dalla nascita di Claude Debussy. Molti concerti
(a cominciare dai due inaugurali a Torino e a Milano) propongono la musica del
compositore e intellettuale che tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del
Novecento cambiò radicalmente sia il modo di concepire una partitura sia quello
di intenderne i nessi con la cultura in senso lato (letteratura, teatro,
visivo) del mondo in cui viveva e si esprimeva.
MiTo colma
inoltre una lacuna: gran parte delle organizzazioni musicali italiane (dalle
fondazioni alle varie associazioni di amici della musica) sembra avere
dimenticato che nel 2012 cade un importante anniversario dalla nascita di
Debussy, mentre il festival che si svolge a Milano e Torino mostra il ponte tra
il maestro francese e la contemporaneità.
La schiera
degli autori contemporanei presenti a MiTo include artisti molto differenti in
lessico e stile ma uniti dal tratto comune di essere stati profondamente
influenzati dalla poetica musicale di Debussy. Figurano in scena due ritratti
dedicati allo spagnolo Luis De Pablo e alla finlandese Kaija Saariaho,
contornati dalle musiche di Giacomo Manzoni, Sylvano Bussotti, György Kurtag,
Claude Vivier, Fabio Vacchi, George Crumb, Filippo del Corno, Gilberto Bosco,
Michele Dall'Ongaro, Giulio Castagnoli, Fabio Mengozzi, Stefano Pierin. Per
certi aspetti anche la canzone d'autore (non certo, però, il jazz) ha tributi
da pagare a Debussy.
Trait
d'union con l'Oriente. In un programma che ha propria centralità in Debussy
mancano, però, due appuntamenti importanti: Pelléas et Melisande e Le Martyre
de Saint-Sébastien. Il primo non si vede in Italia dal 2005 quando venne
importato un allestimento dell'Opéra Comique di Parigi (sala di piccole
dimensioni). Era una messa in scena che quasi affogava nel grande palcoscenico
della Scala ma che sarebbe stata perfetta al Teatro Carignano di Torino o al
Dal Verme di Milano. Le Martyre, invece, nonostante lo splendido libretto di Gabriele
D'Annunzio, si è visto l'ultima volta negli anni 90 a Napoli in un'edizione da
manuale Bignami (quattro ore compattate in un'ora e un quarto) in cui La Fura
dels Baus pareva cogliere solo gli aspetti omo-erotici (invece del decadentismo
mistico). Sarebbe forse il caso di pensare a un'esecuzione da concerto in
collaborazione, per la parti recitate, con qualche organizzazione
musical-drammaturgica francese.
Un MiTo
incentrato su Debussy permette, nella sezione educational (che non dovrebbe
essere frequentata solo dai ragazzi delle scuole), di scoprire l'influenza che
la musica asiatica, in particolare quella di Bali, ha avuto sia sul Novecento
storico sia sull'innovazione europea. Due esempi sono la Turandot di Giacomo
Puccini che cerca (e trova) in Debussy colori asiatici colti dal compositore
francese nei suoi studi delle musiche orientali, e molti lavori di Giacinto
Scelsi, grande cultore di Debussy e della scrittura musicale dell'Estremo
Oriente, da cui ricavò le sonate per una nota sola.
La cosiddetta
musica dello spirito (termine da preferire a quello di musica sacra che pare
limitato alla tradizione cristiana) ha, come di consueto, un ruolo importante
all'interno di Mito, che in questa edizione 2012 offre, tra l'altro, messe
raramente eseguite di Hector Berlioz e Johannes Ockeghem. Debussy ha composto
un numero limitato di lavori da considerarsi sacri in senso stretto ma è stato
un ponte importante tra la musica dello spirito orientale e occidentale. Si
deve a lui l'aver scritto che «la musica di Giava basata sul gamelan impiega un
contrappunto a confronto del quale la tecnica di Palestrina pare un gioco da
ragazzi». Il gamelan è un complesso strumentale indonesiano che comprende
xilofoni, metallofoni, tamburi e gong e viene utilizzato soprattutto in
cerimonie con una valenza spirituale. La frase fece, all'epoca, inalberare non
pochi musicisti e musicologi, mentre oggi risuona in tutta la sua attualità e
in tutta la sua verità.
Il rilievo
dato a Debussy in MiTo 2012 e l'omaggio ai 400 anni dalla morte di Giovanni
Gabrielli (maestro del contrappunto) non possono però non portare con sé una
domanda: MiTo 2013 sarà imperniato su Verdi, Wagner e Britten, visto che dei
primi due ricorre il bicentenario dalla nascita e del terzo il centenario?
Sarebbe forse importante individuare già adesso un motivo conduttore della
prossima edizione, sganciato però da una ricorrenza. Infatti, già i cartelloni
delle fondazioni promettono stagioni colme di Verdi e di Wagner. Tanto che La
Scala, l'Opera di Roma e il Festival di Spoleto hanno pensato di celebrare
Britten addirittura con un anno di anticipo. (riproduzione riservata)
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