domenica 12 agosto 2012

Ma senza crescita gli effetti saranno di breve respiro in Avvenire 12 agosto


Ma senza crescita gli effetti saranno di breve respiro


DI GIUSEPPE PENNISI S ulla scrivania del pre­sidente del Consiglio si stanno accumulan­do programmi per la ridu­zione dell’onere del debito pubblico sull’economia i­taliana. A quelli già perve­nuti, altri, già annunciati, arriveranno nelle prossime settimane al fine di con­sentire una disanima e­sauriente all’inizio di set­tembre.

È bene che le ricette siano numerose e competitive in modo che governo e Parla­mento abbiamo una vasta platea di proposte, ciascu­na delle quali tecnicamen­te valida, tra cui scegliere. Sono apparse polemiche sulla «primogenitura» del­le varie idee; data l’impor­tanza e la gravità del pro­blema, vanno considerate come meri colpi di sole a­gostane.

Occorre fare in ogni caso alcune osservazioni preli­minari, valide quali che siano le scelte operate dal­l’esecutivo e dal Parla­mento.

Ci sono infatti due condizioni essenziali e im­prescindibili perché un piano «tagliadebito» possa rivelarsi efficace. In primo luogo, si deve riattivare il processo di crescita. Il pe­so del debito pubblico sa­rebbe diventato sostenibi­le (a meno del 90% del Pil e non a circa 125% come è adesso) se dall’inizio degli Anni Novanta l’economia italiana fosse cresciuta ad un saggio del 2,5%, com­patibile con quello di eco­nomie mature sotto il pro­filo demografico e della struttura produttiva. Al contrario, abbiamo avuto crescita rasoterra o zero si­no al 2007 ed una contra­zione del Pil quasi del 17% negli ultimi cinque anni. Ciò ha implicazioni im­portanti in senso sia nega­tivo sia positivo. In senso negativo, proposte dirette ad aumentare la pressione tributaria o i vincoli a chi lavora e a chi produce non possono non essere un boomerang e creare alla fi­ne più debito di quello che intendono togliere.

In senso positivo, il «ta­gliadebito » deve essere in­serito in una chiara strate­gia di crescita volta a valo­rizzare le risorse di cui frui­sce l’Italia, soprattutto un capitale umano abile e flessibile. Nel 1992, il Go­verno Amato riuscì a ta­gliare di dieci punti per­centuali il peso del debito sul Pil ma, dopo 24 mesi, eravamo tornati alla situa­zione – preoccupante – del 1991.

In secondo luogo, le pro­poste sino ad ora presen­tate prevedono un impe­gno di lungo periodo. La «prima fase» di quella a­vanzata dal Pdl, ad esem­pio, è di cinque anni. Quel­la denominata «Amato-Bassanini» dura almeno si­no al 2020. E via discor­rendo.

Ridurre il peso del debito con misure straordinarie è un impegno più lungo di una legislatura. Esso deve essere un impegno della Nazione (quali che siano i programmi delle forze po­litiche). Un impegno della Nazione, a sua volta, pre­suppone una forte condi­visione con le parti socia­li, un ritorno della concer­tazione (spesso fraintesa) nel senso più alto e più po­sitivo. A riguardo è utile ri­cordare che in seno al Con­siglio nazionale dell’eco­nomia e del lavoro (Cnel) nel novembre 2011 sono state esaminate le prime proposte di riduzione del debito con provvedimenti straordinari. Lo scorso giu­gno in una giornata di stu­dio, economisti e giuristi hanno discusso le propo­ste all’ora sul tappeto: i ri­sultati sono in un E-Book scaricabile dal sito dell’or­gano. Dato l’impegno plu­riennale nazionale a cui è essenziale l’apporto delle parti sociali, in settembre, il governo potrebbe chie­dere al Cnel di istruire le varie ipotesi e formulare appropriate osservazioni e proposte.

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l’analisi


Il peso sarebbe già diventato sostenibile se dal ’90 l’economia italiana fosse cresciuta a un ritmo del 2,5% Nel 1992 il governo Amato riuscì a tagliare il 10% dello stock ma dopo 24 mesi lo sforzo fu vanificato


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