Ma senza
crescita gli effetti saranno di breve respiro
DI GIUSEPPE PENNISI S ulla scrivania del presidente del Consiglio si stanno accumulando programmi per la riduzione dell’onere del debito pubblico sull’economia italiana. A quelli già pervenuti, altri, già annunciati, arriveranno nelle prossime settimane al fine di consentire una disanima esauriente all’inizio di settembre.
È bene che le ricette siano numerose e competitive in modo che governo e Parlamento abbiamo una vasta platea di proposte, ciascuna delle quali tecnicamente valida, tra cui scegliere. Sono apparse polemiche sulla «primogenitura» delle varie idee; data l’importanza e la gravità del problema, vanno considerate come meri colpi di sole agostane.
Occorre fare in ogni caso alcune osservazioni preliminari, valide quali che siano le scelte operate dall’esecutivo e dal Parlamento.
Ci sono infatti due condizioni essenziali e imprescindibili perché un piano «tagliadebito» possa rivelarsi efficace. In primo luogo, si deve riattivare il processo di crescita. Il peso del debito pubblico sarebbe diventato sostenibile (a meno del 90% del Pil e non a circa 125% come è adesso) se dall’inizio degli Anni Novanta l’economia italiana fosse cresciuta ad un saggio del 2,5%, compatibile con quello di economie mature sotto il profilo demografico e della struttura produttiva. Al contrario, abbiamo avuto crescita rasoterra o zero sino al 2007 ed una contrazione del Pil quasi del 17% negli ultimi cinque anni. Ciò ha implicazioni importanti in senso sia negativo sia positivo. In senso negativo, proposte dirette ad aumentare la pressione tributaria o i vincoli a chi lavora e a chi produce non possono non essere un boomerang e creare alla fine più debito di quello che intendono togliere.
In senso positivo, il «tagliadebito » deve essere inserito in una chiara strategia di crescita volta a valorizzare le risorse di cui fruisce l’Italia, soprattutto un capitale umano abile e flessibile. Nel 1992, il Governo Amato riuscì a tagliare di dieci punti percentuali il peso del debito sul Pil ma, dopo 24 mesi, eravamo tornati alla situazione – preoccupante – del 1991.
In secondo luogo, le proposte sino ad ora presentate prevedono un impegno di lungo periodo. La «prima fase» di quella avanzata dal Pdl, ad esempio, è di cinque anni. Quella denominata «Amato-Bassanini» dura almeno sino al 2020. E via discorrendo.
Ridurre il peso del debito con misure straordinarie è un impegno più lungo di una legislatura. Esso deve essere un impegno della Nazione (quali che siano i programmi delle forze politiche). Un impegno della Nazione, a sua volta, presuppone una forte condivisione con le parti sociali, un ritorno della concertazione (spesso fraintesa) nel senso più alto e più positivo. A riguardo è utile ricordare che in seno al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) nel novembre 2011 sono state esaminate le prime proposte di riduzione del debito con provvedimenti straordinari. Lo scorso giugno in una giornata di studio, economisti e giuristi hanno discusso le proposte all’ora sul tappeto: i risultati sono in un E-Book scaricabile dal sito dell’organo. Dato l’impegno pluriennale nazionale a cui è essenziale l’apporto delle parti sociali, in settembre, il governo potrebbe chiedere al Cnel di istruire le varie ipotesi e formulare appropriate osservazioni e proposte.
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l’analisi
Il peso sarebbe già diventato sostenibile se dal ’90 l’economia italiana fosse cresciuta a un ritmo del 2,5% Nel 1992 il governo Amato riuscì a tagliare il 10% dello stock ma dopo 24 mesi lo sforzo fu vanificato
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