venerdì 24 agosto 2012

FESTIVAL SALIBURGO: INTRIGHI POLITICI DA HÄNDEL AGLI ORFANI DI MOZART in Il Velino 24 agosto

FESTIVAL SALIBURGO: INTRIGHI POLITICI DA HÄNDEL AGLI ORFANI DI MOZART




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Roma - Un uomo di Stato con vaste responsabilità internazionale arriva, con la scorta, in una superberlina fuori serie in una landa che poco conosce per risolvere una volta per tutte i problemi con il suo maggiore avversario politico (per la “poltronissima” internazionale) e fare la quadra in uno spinoso nodo locale. È in blu sgargiante (ultima moda estiva). Vede una bella cameriera e perde la testa sin dal primo sguardo, preso dal desiderio di portasela a letto. Così finisce in un complicatissimo intrigo internazionale in cui rischia di perdere il potere e la vita. Non si tratta di Domique Strauss Kahn o di altri politici correnti (anche se siamo ai tempi nostri) ma di “Giulio Cesare in Egitto” di Georg Friedrich Händel la cui prima ha avuto luogo al Festival di Salisburgo il 23 agosto (dopo un’anteprima nel fine settimana di Pentecoste) e che si vedrà a in vari teatri nelle prossime stagioni. La regia è firmata da Mosher Leiser e Patrice Caurier, le scene da Christian Fenouillat, i costumi da Agostino Cavalca. Giovanni Antonini guida il complesso “Il Giardino Armonico” che suona con strumenti d’epoca. Un vero cast internazionale (Andreas Scholl, Cecilia Bartoli, Anne Sofie von Otter, Philippe Jarousski, Christophe Dumeaux, Ruben Drole, Jochen Kawalski, Peter Kalman) con ben tre controtenori ed un uomo con voce da contralto ed in ruolo femminile. Ovazioni dopo cinque ore di spettacolo, con qualche fischio alla regia “attualizzata”. Occorre sottolineare che il mistero del successo del teatro barocco, specialmente quello britannico, è tutt’ora irrisolto. Composto da opere di durata lunghissima e poca azione scenica, attirava pubblico e si finanziava con gli incassi in teatri per lo più privati – a differenza di quanto avveniva nel Continente, dove i teatri erano in gran parte “reali” o “ducali” e godevano di un lauto sostegno pubblico.





In più si parlava nei “recitativi” e si cantava in italiano, non in inglese; gli spettacoli erano lunghissimi; le vicende, spesso complicatissime, venivano raccontate dai cantanti piuttosto che rappresentate sul palcoscenico. Le leggende dicono che nei palchetti, tra un’aria e l’altra, si complottasse, si mangiasse, si bevesse e, tirate le tendine, si fornicasse (spesso in quattro o in sei). Il “Giulio Cesare d’Egitto”in scena a Salisburgo mostra, se si conosce un po’ di storia dell’epoca, quanto in realtà ci sia dietro. Le vicende nel 48 a.C. nella lontana Alessandria erano la metafora di due conflitti, uno musicale e uno politico, strettamente connessi e che allora appassionavano Londra. Il musicale è presto riassunto: a Händel veniva contrapposto un suo allievo, Giovanni Bononcini (i cui lavori sono ora dimenticati), non solo per motivi musicali e generazionali (Händel, all’epoca, sfiorava i quarant’anni) ma per ragioni politiche. Dopo una complicata vicenda di successione, il principe elettore di Sassonia, Georg Ludwig von Hannover, aveva assunto la corona di san Giacomo con il titolo di Giorgio I e con lui i “liberali” Whig erano tornati al governo, dopo un lungo periodo di astinenza. Giorgio I era sì protestante e luterano – per questo motivo aveva avuto il trono britannico – ma non un puritano. Aveva sposato la propria cugina prima, Sofia Doretea di Celle, che gli aveva portato una ricca dote, assicurato il controllo di gran parte dei territori germanici del parentado e dato una prole, ma Giorgio non era insensibile all’eros femminile. Gestiva un piccolo harem tra Londra e Amburgo e aveva anche un’amante ufficiale, Melusina von der Schulenburg (da cui ebbe due figlie).



Sofia non gradiva, si fece anche lei un amante stabile e ottenne un divorzio lautamente compensato. Il principe di Galles, Giorgio Augusto, si schierò con la madre e trovò supporto nei Tories e negli ultra conservatori giacobiti (così chiamati perché appartenenti al movimento politico che si proponevano la restaurazione del casato degli Stuart ed erano fedeli alla chiesa monofisita di Siria fondata da Giacomo Baradeo nel VI Secolo - quelli sì più puritani delle “beghine” delle Fiandre). I Whigs era händeliani e i Tories (e i giacobiti) bononciniani. Con "Giulio Cesare in Egitto" Händel sconfisse definitivamente l’ex pupillo diventato arrogantuccio. Questa attualità politica (di allora, ma forse pertinente anche a tempi più recenti) si metteva in scena utilizzando, per di più, un libretto non nuovo (già messo in musica 45 anni prima dall’ormai dimenticato Antonio Sartorio) ma rielaborato da Nicola Francesco Haym e reso incandescente dalla musica, per l’epoca molto innovativa, di Händel (le arie calzano la psicologia dei personaggi non solo come sfoggio di bravura, il recitativo secco scivola in un declamato quasi novecentesco, la scena della seduzione impiega una doppia orchestra e ha una carica erotica che non si sentiva dai tempi di Monteverdi e di Cavalli e si sarebbe dovuto attendere la fine dell’ottocento per trovarne di eguali). Il pubblico seguiva con passione una vicenda in cui Giorgio I in realtà rappresentava il cinquantaquattrenne Giulio Cesare, la ninfetta Cleopatra era Melusina von der Schulenburg, la lamentosa Cornelia, il gay Sesto, la Regina deposta, l’inconcludente Principe di Galles, l’intrigante Achilla e il perbenista (ma un po’ “zozzone”) Tolomeo erano i Tories e i giacobiti. Quindi, attualizzazione ed intrigo internazionale in scena a Salisburgo ha una sua plausibilità.



Intrallazzi anche alla base Das Labyrinth (Il Labirinto) di Emanuel Schikaneder e Peter von Winter, rappresentata in prima mondiale in tempi moderni e tra breve nei maggiori palcoscenici internazionali. Il lavoro (un singspiel in cui parti parlate si alternano a numeri musicali) è la continuazione de Il Flauto Magico il cui successo del Flauto era stato enorme (circa 800 repliche) e Schikaneder (impresario, autore del libretto e primo interprete del personaggio di Papageno) aveva un gran desiderio di replicarlo, con un 'seguito' denso di nuove avventure dei personaggi della penultima opera di Mozart. Trovò in Peter von Winter, musicista all’epoca molto noto, un compositore pronto ad accettare la sfida. Per una serie di motivi, i tempi si allungarono. Era cambiato il contesto: la massoneria, elemento fondante de Il Flauto, era fuori legge (nell’Impero) dal 1795, nel 1799 (quando ebbe luogo la prima di Das Labyrinth) erano in corso le guerre napoleoniche. Quindi, venne tolta la simbologia massonica e Sarastro diventò un generale. Le due giovani coppie ( Tamino e Pamina; Papageno e Papagena) vengono sottoposte a un labirinto di prove. Nell’infuriare delle guerre napoleoniche, la stessa irrequieta Regina della Notte abbandona le velleità di potere. Vince, quindi, la virtù.. Si perdette il testo e la partitura. Un’unica copia dello spartito per pianoforte era nelle mani di un collezionista privato. Dopo varie ricerche, un manoscritto è stato trovato nei polverosi scaffali dell’opera di Stato di Berlino e se ne è potuta fare un’edizione critica. È quella che viene rappresentata, con la direzione musicale di Ivor Bolton, la regia di Alexandra Lietke, le scene di Raimund Orfeo Voigt, i costumi di Susanne Bisovsky e di Elisabeth Binder- Neururer, nel cortile barocco dell’Arcivescovato di Salisburgo. Ivor Bolton alla guida dell’orchestra del Mozarteum e con 15 solisti scelti con cura gli dato un buon piglio. Prevedo che tornerà a circolare. (ilVelino/AGV)

(Hans Sachs) 24 Agosto 2012 11:15



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