L’Unione politica, un sogno che ora è più
lontano
per superare la crisi. Agli impegni sul rigore, cioè, non sono collegate misure come aiuti alla istituzioni finanziarie nazionali in difficoltà, o la mutualizzazione di parte del debito pubblico. L’assunto principale del Compact è che senza finanza pubblica in ordine e senza stabilità finanziaria non ci sono neanche le premesse per misure specifiche volte a rilanciare le economie più colpite dalla crisi e per assicurare lo sviluppo sostenibile dell’Europa. Questo potrebbe invece avvenire solamente nel contesto di una vera Unione politica (il sogno di Adenauer, De Gasperi e Schuman e, prima di loro, di Colorni, Spinelli e Rossi nel Manifesto di Ventotene redatto mentre erano al confino), giacché soltanto una Unione politica darebbe una base democratica a politiche comuni che comportino vasti e duraturi trasferimenti di risorse da 'chi ha' a 'chi non ha'.
Il Compact è solo il primo pilastro per arrivare alla Political union. La crisi che si trascina da oltre un lustro mostra però che un bubbone ancora più grave si annida nei servizi finanziari privati (banche, assicurazioni, fondi comuni) dove comportamenti opportunistici hanno messo a repentaglio il sistema e inferto un duro colpo alla fiducia di tutti gli operatori, specialmente dei risparmiatori e degli operatori 'per bene'. Quindi, il secondo pilastro del cammino è l’unione bancaria, che contempla regole comuni per la capitalizzazione, gli accantonamenti prudenziali, la vigilanza dei servizi finanziari. Se il percorso verso l’entrata in vigore del Fiscal compact è quasi completato, molto più irta è la strada verso la pur necessaria Unione bancaria, considerata la varietà dei diversi sistemi europei.
Ma facciamo l’ipotesi che con il cappio della crisi al collo si arrivi in fretta all’Unione bancaria, quali sarebbero i lineamenti della successiva Unione politica? Il Cancelliere tedesco Angela Merkel e i suoi collaboratori hanno idee simili a quelle di Konrad Adenauer: una Commissione eletta democraticamente con un bilancio pari al 20% del Pil europeo (una proposta analoga era nel programma 1994 di Forza Italia) e un Parlamento con effettivi poteri legislativi su una vasta gamma di materia di interesse europeo.
Attualmente il bilancio gestito dalle istituzioni dell’Unione Europea è pari a circa l’1% del Pil Ue. È finanziato in parte da contributi diretti dei singoli Stati dell’Unione in base a parametri relativi alla loro popolazione e alla loro situazione economica, e in parte da gettito preveniente dalla tariffa doganale comune oltre che da una piccola percentuale dell’Iva dei vari Stati. La metà circa delle spese è destinata alla Politica agricola comune. Un aumento delle risorse comunitarie di tali dimensioni renderebbe sì possibili maggiori trasferimenti agli Stati in difficoltà, ma comporterebbe decidere sia quali fonti di gettito attualmente a disposizione degli Stati nazionali debbano essere attribuite alle istituzioni Ue, sia quali spese pubbliche ora di esclusiva spettanza degli Stati nazionali dovrebbero diventare di competenza comunitaria.
È evidente che si tratta di decisioni che non possono essere prese da conferenze intergovernative sulla base di proposte formulate da organi tecnici, ma che richiedono una forte trasformazione in senso democratico delle istituzioni europee (tra cui l’elezione della Commissione e l’attribuzioni di maggiori funzioni al Parlamento Europeo). Il cammino
Al bilancio del futuro governo europeo dovrà andare il 20% del Pil, rispetto all’1% attuale. Ci vorrà molto tempo Dopo il «Fiscal compact» l’obiettivo è l’Unione bancaria, seconda tappa decisiva. Ma restano le divisioni
per superare la crisi. Agli impegni sul rigore, cioè, non sono collegate misure come aiuti alla istituzioni finanziarie nazionali in difficoltà, o la mutualizzazione di parte del debito pubblico. L’assunto principale del Compact è che senza finanza pubblica in ordine e senza stabilità finanziaria non ci sono neanche le premesse per misure specifiche volte a rilanciare le economie più colpite dalla crisi e per assicurare lo sviluppo sostenibile dell’Europa. Questo potrebbe invece avvenire solamente nel contesto di una vera Unione politica (il sogno di Adenauer, De Gasperi e Schuman e, prima di loro, di Colorni, Spinelli e Rossi nel Manifesto di Ventotene redatto mentre erano al confino), giacché soltanto una Unione politica darebbe una base democratica a politiche comuni che comportino vasti e duraturi trasferimenti di risorse da 'chi ha' a 'chi non ha'.
Il Compact è solo il primo pilastro per arrivare alla Political union. La crisi che si trascina da oltre un lustro mostra però che un bubbone ancora più grave si annida nei servizi finanziari privati (banche, assicurazioni, fondi comuni) dove comportamenti opportunistici hanno messo a repentaglio il sistema e inferto un duro colpo alla fiducia di tutti gli operatori, specialmente dei risparmiatori e degli operatori 'per bene'. Quindi, il secondo pilastro del cammino è l’unione bancaria, che contempla regole comuni per la capitalizzazione, gli accantonamenti prudenziali, la vigilanza dei servizi finanziari. Se il percorso verso l’entrata in vigore del Fiscal compact è quasi completato, molto più irta è la strada verso la pur necessaria Unione bancaria, considerata la varietà dei diversi sistemi europei.
Ma facciamo l’ipotesi che con il cappio della crisi al collo si arrivi in fretta all’Unione bancaria, quali sarebbero i lineamenti della successiva Unione politica? Il Cancelliere tedesco Angela Merkel e i suoi collaboratori hanno idee simili a quelle di Konrad Adenauer: una Commissione eletta democraticamente con un bilancio pari al 20% del Pil europeo (una proposta analoga era nel programma 1994 di Forza Italia) e un Parlamento con effettivi poteri legislativi su una vasta gamma di materia di interesse europeo.
Attualmente il bilancio gestito dalle istituzioni dell’Unione Europea è pari a circa l’1% del Pil Ue. È finanziato in parte da contributi diretti dei singoli Stati dell’Unione in base a parametri relativi alla loro popolazione e alla loro situazione economica, e in parte da gettito preveniente dalla tariffa doganale comune oltre che da una piccola percentuale dell’Iva dei vari Stati. La metà circa delle spese è destinata alla Politica agricola comune. Un aumento delle risorse comunitarie di tali dimensioni renderebbe sì possibili maggiori trasferimenti agli Stati in difficoltà, ma comporterebbe decidere sia quali fonti di gettito attualmente a disposizione degli Stati nazionali debbano essere attribuite alle istituzioni Ue, sia quali spese pubbliche ora di esclusiva spettanza degli Stati nazionali dovrebbero diventare di competenza comunitaria.
È evidente che si tratta di decisioni che non possono essere prese da conferenze intergovernative sulla base di proposte formulate da organi tecnici, ma che richiedono una forte trasformazione in senso democratico delle istituzioni europee (tra cui l’elezione della Commissione e l’attribuzioni di maggiori funzioni al Parlamento Europeo). Il cammino
Al bilancio del futuro governo europeo dovrà andare il 20% del Pil, rispetto all’1% attuale. Ci vorrà molto tempo Dopo il «Fiscal compact» l’obiettivo è l’Unione bancaria, seconda tappa decisiva. Ma restano le divisioni
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