La "rivolta" tedesca
contro Monti
martedì 7
agosto 2012
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Come spiegare la dura reazione bi-partisan
all’intervista data dal Premier italiano Mario Monti al settimanale Der
Spiegel? Il Professore è stato molto attento nel rispondere alle domande
fattegli sia prima, sia dopo il Consiglio della Banca centrale europea (che ha
sostanzialmente ridimensionato le aspettative suscitate dalle dichiarazioni
fatte la settimana precedente dal suo Presidente, Mario Draghi, nel corso di
una riunione pubblica a Londra). Monti parla perfettamente il tedesco; quindi,
ha misurato il suo riferimento all’interazione tra Governi e Parlamenti nel
corso di negoziati europei (la parte dell’intervista che ha fatto perdere le
staffe a numerosi tedeschi). Quindi, non è stato un caso di lost in
traslation.
Dato che in passato ho insegnato pure all’Università
di Postdam, vorrei azzardare un’ipotesi che non è apparsa sinora sui media
italiani. È probabile che gli uffici della Presidenza del Consiglio e
l’Ambasciata d’Italia a Berlino (dove è in corso un delicato passaggio di
consegne) non si rendano conto di quanto, nel loro piccolo, gli economisti
tedeschi si inalberano quando avvengono episodi che fanno loro perdere le
staffe. Questo è a mio avviso un aspetto molto più importante del vero o
supposto faux pas che sarebbe avvenuto all’ultimo Consiglio europeo a
Bruxelles, con la conferenza stampa del Presidente del Consiglio all’alba (per
annunciare il peraltro mai creato scudo anti-spread) senza un’intesa preventiva
con il Cancelliere, andato a riposare in attesa di una conferenza congiunta a
metà mattinata sulla base di termini ben concordati.
Gli economisti tedeschi soffrono, un po’ come gli
italiani e i francesi, di essere poco apprezzati e conosciuti a livello
internazionale, a ragione della preminenza (in termini di notorietà) degli
economisti americani e britannici (nonché di quelli degli antipodi - Australia
e Nuova Zelanda - e ora pure di quelli asiatici). In effetti unicamente
Hans-Werner Sinn del CESifo e Wilhelm Hankel (conosciuto in Italia perché ha
insegnato a lungo a Bologna) sono noti all’estero - e Hankle (peraltro persona
squisita) lo è principalmente come primo firmatario del riscorso anti
Salva-Stati alla Corte costituzionale tedesca.
Un paio di settimane fa, un professore, quasi
sessantacinquenne, di statistica economica alla Università Tecnica di Dortmund
(noto, nella Repubblica Federale, specialmente per i lavori fatti sulla “catena
di Markov”), Walter Kraemer, ha stilato una lettera attaccando duramente
Governo e Cancelliere per le idee presentate in materia di “unione bancaria” e
“unione politica”. La lettera è stata firmata da 250 accademici tedeschi (tra
cui Sinn che di Angela Merkel è consigliere) e diffusa in tedesco e in inglese
su vari siti (nel silenzio della stampa italiana). Il tono della lettera è
particolarmente scioccante: l’unione bancaria e l’unione politica sarebbero
strumenti per “socializzare il debito sovrano” con effetti distorsivi su
“investimenti pubblici e privati” tali da frenare ulteriormente la crescita in
Europa e di inviare “cattivi segnali” agli europei, premiando le cicale e
penalizzando le formiche.
La lettera non ha contenuti tecnici. Infatti, non è
stata scritta per un pubblico tecnico, ma per quello che un tempo veniva
chiamato “l’uomo della strada”. Da una decina di giorni, si cerca, in qualche
modo, di riparare: Frank Heinemann, dell’Università di Berlino, e Gerhard
Illing, di quella di Monaco, hanno trovato un paio di centinaio di economisti
(tra cui alcuni firmatari della lettera di Kraemer) per firmare un testo
piuttosto vago in cui si dice che “l’unione bancaria” è “critica per salvare
l’euro”, ma non si precisa se tale salvataggio sia auspicabile.
Il bailamme tra accademici ha avuto almeno un
risultato: di economisti tedeschi si parla sulla stampa americana e britannica.
Ne avrebbe dovuto avere un altro: fare comprendere ai Governi dei Piigs quanto
sia delicata la materia e quanto sia forte (anche nel modo intellettuale)
l’opposizione a un’Angela Merkel vista troppo condiscendente nei confronti di chi
ha razzolato male. In questo clima, sfiorare anche solo di sfuggita le
prerogative del Parlamento tedesco è una vera e propria bomba.
Ciò ha anche un’altra implicazione: siamo già
commissariati (non dal Governo tedesco, ma dal ceto intellettuale della Repubblica
federale, come dimostra il dibattito in corso di cui sopra). E non ce ne
accorgiamo. O facciamo finta di non accorgercene.
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