venerdì 29 giugno 2012

L’intesa ha seppellito l’era Maastricht in Avvenire 30 giugno


l’affondo L’intesa ha seppellito l’era Maastricht


DI GIUSEPPE PENNISI

« P eace for Our Times».
Con questa fra­se il Premier britannico Neville Chamberlain commentò, il 30 set­tembre 1938, l’accordo appena raggiunto a Mo­naco, grazie alla mediazione di Benito Mussoli­ni e con la Germania sui confini del Terzo Reich. L’accordo fu di breve durata. E la stessa frase con cui il primo ministro britannico a­prì il proprio discorso alla Came­ra dei Comuni conteneva un pun­ta d’ironia.

«Peace for Our Times» è ciò che si può dire dell’intesa raggiunta la mattina del 28 giugno al Consiglio Europeo. È un’intesa a cui occorre ancora dare contenuti puntuali, come le modalità degli interventi dei Fondi salva-Stati (e forse anche della Banca centrale europea) per calmierare gli spread , le soglie e i tetti previsti, l’esigenza o meno di politiche di sta­bilizzazione e crescita sottostanti gli interventi, il sistema di monitoraggio. La messa a punto è in corso in questi giorni e la sua formalizzazione è stata rinviata alla riunione dei ministri dell’Eco­nomia e delle Finanze del 9 luglio. Il Diavolo si na­sconde nei dettagli. Tanto più che l’intesa è stata raggiunta in un clima di diffidenza.

Tuttavia, già da adesso è chiaro che ove non si fos­se raggiunto un’intesa, l’area dell’euro sarebbe fi­nita nel caos; sarebbe rimasta in esistenza una moneta unica per Germania, Austria, Finlandia, Slovenia , Olanda, Lussemburgo e forse Francia, mentre il resto della zona sarebbe stato travolto da insolvenze e da possibili uscite dall’euro per tor­nare a svalutazioni competitive. Secondo stime, ancora inedite, di William Cline del Peterson In­stitute for International Economics, il fabbisogno finanziario complessivo di Grecia, Irlanda, Porto­gallo, Spagna e Italia assomma ora a 1.250 miliar­di di euro e avrebbe minacciato di crescere velo­cemente senza un meccanismo per calmierare gli

spread .


Deve, però, essere anche chiaro a tutti che l’Eurozona quale defini­ta con il Trattato di Maastricht (fir­mato in un’atmosfera di recipro­ca fiducia) è stata così profonda­mente modificata da non esiste­re più. Pochi, pure tra gli esperti, hanno metabolizzato questo punto. Il Trattato di Maastricht e quelli ad esso successivi vietano interventi come quelli alla base dell’intesa del 28 giugno, e non per un capriccio, ma per un’esi­genza precisa: una politica uni­ca della moneta (in mano alla B­ce) e politiche di bilancio entro i parametri concordati dovrebbero non richiede­re interventi di salvataggio o di calmiere se tutti operano lealmente secondo le regole del gioco.

Così pare non essere stato.

Il sistema che sta emergendo è analogo a quello detto «di Bretton Woods» che ha retto per 29 an­ni. Gli spread hanno il ruolo che avevano le o­scillazioni 'moderate' dal Fondo monetario in­ternazionale. Gli interventi dei salva-Stati quelli del Fmi. L’euro-Berlino (l’àncora rispetto ai cui ti­toli si misurano gli spread e si cercherà di cal­mierarli) quello del dollaro Usa. Tuttavia, il regi­me «di Bretton Woods» operava in un contesto di controlli valutari e il consiglio d’amministrazio­ni del Fmi (che si riunisce tre volte la settimana) gestiva collegialmente i tassi di cambio deciden­do su svalutazioni e rivalutazioni. All’interno di un’unione monetaria non sono possibili né con­trolli valutari né svalutazioni o rivalutazioni. Se, però, divergono produttività e competitività si ve­rificano 'svalutazioni fiscali' o 'rivalutazioni fi­scali' interne dei livelli di potere d’acquisto. Se­condo la Commissione Europea, l’Italia ha subi­to dal 1999 una 'svalutazione fiscale' del 30% . L’intesa del 28 giugno, questo è il suo limite mag­giore, non fa nulla per curarla.

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Un’unica politica monetaria e limiti ai bilanci pubblici non hanno evitato il bisogno di salvataggi Ora si va verso una nuova Bretton Woods

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