venerdì 8 giugno 2012

L’euro «a due velocità»? Funziona così in Avvenire 9 giugno

L’euro «a due velocità»? Funziona così DI GIUSEPPE PENNISI C sa deve intendersi per «unione politica» europea quale lanciata dal duo Merkel¬ Cameron a Berlino il 7 giugno? E quale il ruolo dell’«unione monetaria» esistente nel cam¬mino verso tale «unione politica»? In primo luogo entrambi i leader si sono affret¬tati a precisare che l’«unione politica» è obietti¬vo essenziale a cui deve tendere «nel lungo perio¬do » il processo d’integra¬zione europea. Sia a Berli¬no sia a Londra, in ogni ca¬so, si parla di «unione fi¬scale » e di «unione banca¬ria » ma non di un rafforza¬mento o di una revisione dell’attuale «unione mone¬taria ». Per «unione fiscale» non si deve pensare all’armoniz¬zazione dei sistemi tributa¬ri, ma a «politiche di bilan¬cio convergenti» non sola-mente nei loro aggregati (lo stock di debito, ad esem¬pio), ma anche nei conte¬nuti (quale peso dare, ad e¬sempio, nella ripartizione della spesa, all’investimen¬to pubblico o alla spesa so¬ciale). In tale contesto, si po¬trebbero anche contempla¬re trasferimenti dagli Stati più forti e virtuosi a quelli più deboli. I primi, però, dovrebbero avere voce in capitolo nell’al¬locazione della spesa dei secondi. Sarebbe dun¬que una cessione di sovranità ancora più pre¬gnante di quella fatta dalle Banche centrali na¬zionali alla Bce. Analogamente, «unione banca¬ria » significa regole e istituzioni comuni per il funzionamento dei servizi e degli intermediari fi¬nanziari: un assetto molto più vasto e molto più profondo di quanto previsto nelle tre agenzie create di recente (Eba, Iopa, Esma) sulla scia del¬la crisi. Angela Merkel e David Cameron hanno comun¬que «dettato» l’agenda del prossimo vertice dei Capi di Stato e di Gover¬no: prima di parlare di «eurobond» e strumenti simili andranno traccia¬te tappe e indicatori per l’«unione fiscale» e l’«unione bancaria». Due compiti non certo facili ai quali il vertice del 28-29 giugno potrà dare al mas¬simo il «la». Cosa avverrà nel contempo all’Eu¬rozona? Si possono immaginare di¬versi scenari. Due su tutti. Nel pri¬mo, tra una tappa e l’altra (vari pia¬ni di salvataggio di questo o quello Stato), la zona euro potrà restare co¬me è adesso: continuando a trabal¬lare e portando a un deprezzamen¬to della divisa comune sui mercati internazionali di cui beneficereb¬bero principalmente le imprese e¬sportatrici. Arrivando alla fine a un euro «a due o più velocità». Se ne parla da un anno nei corridoi del Fondo monetario. Ciò potrebbe avere im¬plicazioni anche pratiche. Chi si troverà in un bi¬nario «a scartamento ridotto», ad esempio, po¬trebbe essere costretto a cambiare la propria mo¬neta se si trova a viaggiare nel binario «ad alta ve¬locità ». Pagando naturalmente una commissio¬ne. Senza andare alle unioni monetarie del¬l’Impero Romano e del Sacro Romano Im¬pero (studiate soprattutto da economisti te¬deschi), basta ricordare l’unione monetaria latina che funzionò con alterne vicende dal 1865 al 1927 e di cui fecero parte, oltre ai cin¬que Stati «firmatari» (tra cui l’Italia), gli Stati «associati» e quelli «allineati». I cinque «fir¬matari » avevano cambi rigorosamente fissi, i 12 «associati» cambi moderatamente fluttuanti at¬torno a parità centrali e gli 11 «alli¬neati » margini di fluttuazione an¬cora più ampi. Di recente l’econo¬mista franco-americano André Ca¬bannes ha suggerito un modello a¬nalogo per l’eurozona. Sarebbe ancora più semplice per¬mettere – e siamo al secondo sce¬nario – con un emenda¬mento al Trattato di Maastricht una transi¬zione temporanea nello «Sme II» (Si¬stema monetario europeo II) ancora in vigore e che consente margini di oscillazione dif¬ferenziati rispetto all’euro per Stati dell’Unione che non fanno parte dell’Euro¬zona (quelli per la Dani¬marca, ad esempio, sono mol¬to più «stretti» di quelli per la Gran Bretagna). Gli accorgimenti tecnici dunque non mancano, ma ciascuno di essi ha un costo politico in ter¬mini di reputazione. In questo quadro sorge an¬zitutto la domanda per quali Paesi applicare le nuove ipotetiche regole: a tutti i Piigs (Portogal¬lo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna) o solamente ai Paesi più gravemente ammalati? Quale organi¬smo, poi, sarebbe deputato a decidere quella che verrebbe letta come una retrocessione in «serie B»? © RIPRODUZIONE RISERVATA Il duo Merkel-Cameron ha proposto una nuova «unione politica» per l’Europa. Che fine farebbe l’«unione monetaria»? SISTEMA TIPO SME PER UNA BIRRA A BERLINO OCCORREREBBE IL CAMBIO Se l’Eurozona evolvesse verso un sistema tipo lo «Sme» (Sistema monetario europeo), si applicherebbero le regole degli accordi rivisti nel 1999 per gli Stati che non sarebbero immediatamente entrati nella zona euro. Un italiano che volesse bere un boccale di birra a Berlino, dunque, con l’Italia fra i Paesi più deboli, dovrebbe cambiare la moneta nazionale (diciamo euro «B») in moneta dell’Unione vera e più forte (diciamo euro «A»).Tra euro B ed euro A vigerebbe una parità centrale e un margine di fluttuazione fatto su misura per ciascuno Stato: oggi per la Danimarca è il 2,25%, per la Lettonia e la Lituania il 15% (in sù o in giù). SISTEMA «UNIONE» PER UNA BIRRA A BERLINO MONETA DA «ALLINEATO» Se l’Eurozona evolvesse verso un sistema analogo all’Unione monetaria fra valute diverse, per un cittadino europeo che volesse bere un boccale di birra a Berlino, il pagamento dipenderebbe dalla tipologia di Stato d’appartenenza. Il cittadino di uno Stato «firmatario» (quale sarebbe probabilmente l’Italia) potrebbe pagare in qualsiasi valuta di uno degli Stati firmatari. Il cittadino di uno Stato «associato» o «allineato» dovrebbe invece cambiarla nella moneta di Berlino (diciamo l’euro) e il margine di fluttuazione varierebbe a seconda che di tratti, appunto, di Stato (e relativa moneta) «associato» o semplicemente «allineato».

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