GEOFINANZA/ Italia ancora sotto attacco: ecco i 4 colpevoli
sabato 23
giugno 2012
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In questi
ultimi giorni i mercati sembrano aver dato una tregua all'Italia. La Borsa va
meglio del solito. Lo spread non aumenta. Si stanno realizzando “le promesse
dell’alba” per parafrasare il titolo di un bel romanzo di Romain Gary
(scrittore francese troppo presto dimenticato per non aver mai fatto parte né della
droite più accesa, né tanto meno della gauche, nonché per
avere avuto Charles De Gaulle come suo testimone di nozze nella cattedrale di
Bangui ai tempi di France Libre), oppure siamo a “l'ultima notte di
quiete” per mutuare il titolo di un bel film di Valerio Zurlini.
Il “bailamme”, invece, continua non solo per le
ragioni delineate in un mio precedente articolo, ma anche perché, a quel che
si sa, gran parte delle misure proposte dal Governo italiano ai partner non
sono state accolte e il vertice europeo di fine settimana
prossima minaccia di trasformarsi in una sconfitta per l'esecutivo. Ci sono,
soprattutto, determinanti specifiche, politiche ed economiche su cui non si sta
ponendo sufficiente attenzione. Ma che i mercati guardano con preoccupazione,
anzi ansia.
In primo luogo, se si votasse oggi il primo
partito sarebbe verosimilmente il Pd (un quarto circa dei voti), seguito dal
Movimento Cinque Stelle (con il 20% dei suffragi). Gli investitori esteri non
vedono come con un assetto politico del genere si riesca a fare traghettare il
Paese verso una sponda più moderna e più giusta. Lo stesso disegno di Monti -
di ascendere al Quirinale e di costruire, dal Colle più alto, una serie di
“governi del Presidente” - pare poco realistico. Da Los Angeles, lo dicono a
tutto tondo i gestori di Pimco (il maggior conglomerato di fondi
obbligazionari) ai loro clienti. Aggiungendo che non si vede ombra di riforma
costituzionale che riduca drasticamente quei costi della politica che frenano
la produttività italiana.
In secondo luogo, non si è fatto nulla per
affrontare quello che, dopo i costi della politica, è il secondo freno
all’economia italiana: le rendite. Questo sarebbe dovuto essere il compito
precipuo di un Governo tecnico: dato che non cerca voti, o combatte le lobby
delle rendite o ne è prigioniero. Lo scrive a tutto tondo il “Temi di
Discussione” n. 830 della Banca d’Italia: se avessimo ridotto del 15% - appena
del 15% - le rendite (da quelle dei taxi a quelle delle autostrade, da quelle
delle farmacie a quelle dei notai), il Pil sarebbe aumentato di nove punti
percentuali negli ultimi sette anni (rispetto all’evoluzione deludente che ha
avuto). Il decreto Cresci Italia non sfiora neanche le rendite. I gestori ne
traggono le conclusioni: è bene stare lontani da dove dominano le satrapie e i
califfati. E negli ultimi sette anni, dati Istat alla mano, il manifatturiero è
passato dal 22% al 15% del Pil.
In terzo luogo, con buona pace del coretto a cappella
che intona le virtù delle Piccole e medie imprese italiane (Pmi) - molte delle
quali hanno trasferito i loro impianti all’estero - il gap tra l’innovazione
del settore produttivo italiano e quella del resto del mondo è in rapida
crescita. L’Occasional Paper n.121/2012 della Banca d’Italia non solo analizza
il problema, ma indica alcune soluzioni. Auguriamoci che tra viaggi, conferenze
stampa, dichiarazioni estemporanee, crisi di astinenza da video, tra Palazzo
Chigi e dicasteri economici, qualcuno lo legga e ne tragga le conclusioni.
In quarto luogo, economisti di scuola marxista
(Janossy) e liberale (Kindleberger), pur non conoscendosi e non avendo accesso
ai lavori l’uno dell’altro, hanno da decenni convenuto che le risorse umane
sono state la molla del “miracolo economico”, dell’industrializzazione, del
progresso tecnico in Italia. Non bisogna andare lontano: l’Occasional Paper N.
122 del 2012 sempre della Banca d’Italia delinea un programma di come
migliorare il nostro sistema d’istruzione.
Professori, si tacciano, vadano meno in televisione,
dichiarino poco, ma studino e facciano.
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