Il piano anti-contagio e i suoi precursori
DI GIUSEPPE PENNISI
C i sono precedenti al «piano antispread » proposto dal governo italiano e che le Germania pare disposta ad accettare? Il principali – ma pochi lo ricordano, poiché terminò bruscamente e brutalmente nel 1970-71– è il «regime monetario di Bretton Woods». Si basava su tassi di cambio fissi che poteva essere soggetti a oscillazioni molto leggere: ad esempio, il tasso lira-dollaro Usa era 625 (lire per dollaro) e poteva oscillare tra le 620 e le 630 lire. Attenzione: l’intero sistema dava la priorità alla liberalizzazione del commercio internazionale (tramite negoziati multilaterali in seno al General Agreement on Tariffs and Trade) e permetteva il mantenimento (coordinato dal Fondo monetario) di controlli valutari.
Allora lo spread non si manifestava in differenziali dei tassi d’interesse sui titoli dello Stato, ma in tendenze dei tassi di cambio effettivi a travalicare le oscillazioni. Prima di permettere una svalutazione (di solito decisa collegialmente in seno agli organi di gestione del Fondo monetario con la notevole eccezione della sterlina nel novembre 1967), si aveva accesso ad una vasta gamma di facilitazione creditizie da parte del Fondo per mantenere il cambio entro il margine di oscillazione. Man mano che le facilitazioni superavano un certo livello diventavano sempre più onerose e richiedevano come «sottostante» un programma di stabilizzazione da parte dello Stato interessato. Una curiosità: nel 1964-65 l’Italia era alle prese con una crisi valutaria e aveva urgente esigenza di supporto creditizio ma, al fine di evitare un programma targato Fondo (si era nella prima esperienza del centro sinistra), il governo negoziò, con la Banca mondiale, una linea di credito a rapida erogazione (100 milioni di dollari, cifra all’epoca importantissima) per la Cassa del Mezzogiorno. Il sollievo valutario riportò la lira nei margini.
Con le differenze del caso, la proposta di acquisto di titoli da parte della Bce ha molte analogie con il meccanismo riassunto: l’iniezione valutaria serve a calmierare il mercato e riguarda Stati e governi «virtuosi» che possono portare come «sottostante» misure adeguate. Ciò spiega perché il governo Monti abbia voluto recarsi a Bruxelles con la riforma del mercato del lavoro approvata dal Parlamento (quali che siano le opinioni sul merito) e con la spending review almeno all’apparenza ben avviata. Come ai tempi del regime di Bretton Woods, senza un «sottostante» di qualità, le iniezioni non curano il malato ma ne alleviano temporaneamente la pena.
DI GIUSEPPE PENNISI
C i sono precedenti al «piano antispread » proposto dal governo italiano e che le Germania pare disposta ad accettare? Il principali – ma pochi lo ricordano, poiché terminò bruscamente e brutalmente nel 1970-71– è il «regime monetario di Bretton Woods». Si basava su tassi di cambio fissi che poteva essere soggetti a oscillazioni molto leggere: ad esempio, il tasso lira-dollaro Usa era 625 (lire per dollaro) e poteva oscillare tra le 620 e le 630 lire. Attenzione: l’intero sistema dava la priorità alla liberalizzazione del commercio internazionale (tramite negoziati multilaterali in seno al General Agreement on Tariffs and Trade) e permetteva il mantenimento (coordinato dal Fondo monetario) di controlli valutari.
Allora lo spread non si manifestava in differenziali dei tassi d’interesse sui titoli dello Stato, ma in tendenze dei tassi di cambio effettivi a travalicare le oscillazioni. Prima di permettere una svalutazione (di solito decisa collegialmente in seno agli organi di gestione del Fondo monetario con la notevole eccezione della sterlina nel novembre 1967), si aveva accesso ad una vasta gamma di facilitazione creditizie da parte del Fondo per mantenere il cambio entro il margine di oscillazione. Man mano che le facilitazioni superavano un certo livello diventavano sempre più onerose e richiedevano come «sottostante» un programma di stabilizzazione da parte dello Stato interessato. Una curiosità: nel 1964-65 l’Italia era alle prese con una crisi valutaria e aveva urgente esigenza di supporto creditizio ma, al fine di evitare un programma targato Fondo (si era nella prima esperienza del centro sinistra), il governo negoziò, con la Banca mondiale, una linea di credito a rapida erogazione (100 milioni di dollari, cifra all’epoca importantissima) per la Cassa del Mezzogiorno. Il sollievo valutario riportò la lira nei margini.
Con le differenze del caso, la proposta di acquisto di titoli da parte della Bce ha molte analogie con il meccanismo riassunto: l’iniezione valutaria serve a calmierare il mercato e riguarda Stati e governi «virtuosi» che possono portare come «sottostante» misure adeguate. Ciò spiega perché il governo Monti abbia voluto recarsi a Bruxelles con la riforma del mercato del lavoro approvata dal Parlamento (quali che siano le opinioni sul merito) e con la spending review almeno all’apparenza ben avviata. Come ai tempi del regime di Bretton Woods, senza un «sottostante» di qualità, le iniezioni non curano il malato ma ne alleviano temporaneamente la pena.
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