sabato 4 febbraio 2012

Il «pasticciaccio brutto» dell’euro a più velocità in Avvenire 4 febbraio

Il «pasticciaccio brutto» dell’euro a più velocità l’analisi


Anche all’interno di un’Unione monetaria ci pos¬sono essere «fiscal devaluations», in parole pove¬re «svalutazioni» della stessa moneta. Le politiche economiche possono portare cioè ad «apprezza¬menti » e «deprezzamenti» con perdita di compe¬titività e freni alla crescita. Il problema per l’Italia è quello che gli economisti Emmanuel Farhi e Gi¬ta Gopinath dell’Università di Harvard e Oleg It¬skhoki dell’Università di Princeton hanno dimo¬strato in uno studio recente. Avvenire ha pubbli¬cato martedì 24 gennaio l’analisi della situazione, ora vengono proposte le possibili vie di uscita.

DI GIUSEPPE PENNISI

S i può uscire dal 'pastic¬ciaccio brutto' di apprez¬zamenti e deprezzamen¬ti all’interno dell’eurozona sen¬za mettere a repentaglio l’euro e l’Unione Europea? Non è la prima volta nella storia dell’e-conomia monetaria che ci si trova di fronte a problemi del genere. Nel suo Caesar: Goldne Zeiten fuhrt’ ich ein (ancora og¬gi, a 35 anni dalla prima edizio¬ne, la più completa analisi del¬l’unione monetaria nell’Impe¬ro Romano), Wilhelm Hankel dell’Università di Francoforte spiega che nelle varie Province della Roma antica, fenomeni di apprezzamento e di deprezza¬mento interni erano frequenti: non mutava l’unità monetaria (il sesterzio, il denario) ma cam¬biava il conio - ossia la quantità d’argento o di bronzo- a secon¬do dalla Provincia in difficoltà. E tutti ne erano al corrente. In tempi più recenti, nell’Urss, il rublo (pur funzionando come unità di transazione, di conto e di riserva in tutta l’area) pren¬deva nomi differenti nelle varie Repubbliche; apprezzamenti e deprezzamenti venivano risol¬ti con tasse all’import e sussidi all’export (o viceversa) poiché l’unione monetaria non era parte di un mercato unico. Ne¬gli Usa, sotto la presidenza Roo¬sevelt, negli anni della Grande Depressione fece strada un pro¬getto di sciogliere la Federal Re¬serve, lasciare alle Banche fe¬derali di Riserva la gestione del¬le politiche monetarie e avere un sistema duale: un dollaro fe¬derale per le transazioni tra Sta¬ti e tra gli Usa e il resto del mon¬do, e dollari 'regionali' per le transazioni interne.

Questi metodi non sono però proponibili. Con la moneta di oggi, sempre più smaterializza¬ta ed elettronica, non si può gio¬care con il conio. Tasse all’im¬port e sussidi all’export fareb¬bero saltare il mercato unico e l’intera Ue. La stessa flessibilità di prezzi e salari è difficilmente praticabile: in Italia si è eserci¬tata una flessibilità al ribasso del netto in busta paga (specie per le fasce medio-basse) ma i prezzi (soprattutto quelli alla produzione) crescono più rapi¬damente che in molti Paesi del¬l’eurozona.

Ciò non vuole dire che non ci siano strade. La principale sa¬rebbe se, dopo la conclusione dell’accordo sull’'unione fisca¬le', gli Stati con sovrapprezza¬mento tale da bloccarne la cre¬scita adottassero un program¬ma pluriennale di riassetto strutturale (sostenuto da un’al¬locazione speciale di euro¬bond) per aumentare compe¬¬titività e produttività, entro sca¬denze precise e tramite un per¬corso a tappe monitorabili. Ciò converrebbe an¬che ai soci più forti dell’eurozo¬na. La seconda sarebbe che nei Paesi con bilance dei pagamenti in profondo rosso, circolasse per le transazioni interne un 'euro B' con un tasso di cambio flessi¬bile entro fasce d’oscillazione predeterminate attorno ad una parità centrale, rispetto all’eu¬ro A. In breve ciò che avviene già oggi per Gran Bretagna, Da¬nimarca, Svezia ed altri Stati che fanno parte degli accordi di cambio chiamati Sme II. E si po¬trebbe passare dall’euro B al¬l’euro A quando ci fossero le con¬dizioni di pro¬duttività e com¬petitività.

La serie B non piace a nessuno, ma è meglio del progressivo im¬poverimento e dell’indigenza (2. fine).

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Tra le soluzioni, una «moneta B» per le transazioni interne accanto a una «moneta A»

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