Focus
Un sistema virtuoso da analizzare con orgoglio
Teatro Massimo: un modello
che può fare bene al Sud
di Giuseppe Pennisi
I più giovani non ricorderanno certo Piero Bargellini, allora sindaco di Firenze, con il fango sino alle ginocchia negli splendidi Uffizi durante l’alluvione dell’Arno del 1966. Mentre tutti si strappavano le vesti (non potendosi rotolare per terra a causa del fango), disse con voce stentorea: "Non è tempo di piagnistei"
. La frase rovesciò la situazione: da una Toscana depressa ed avvilita si passò ad un entusiasmo che si diffuse in tutt’Italia per la ricostruzione ed il restauro delle meraviglie della città del Giglio e del resto della regione.
Si è mai pensato ad adottare una strategia analoga per il Sud e le Isole? Diversi anni fa, venne proposta da Luca Meldolesi dell’Università Federico II di Napoli in un saggio intitolato Mezzogiorno con Gioia! Allora non erano ancora di moda la neuro-economia e l’economia della felicità (di cui si occuperà il prossimo numero di Charta minuta); filoni di pensiero e di ricerca che hanno suffragato le intuizioni della seconda metà degli Anni Ottanta.
Non proponiamo di addentrarci su questi ardui sentieri sul nostro webmagazine ma di segnale storie di successo nel Sud, tanto più importanti perché poco conosciute. La più significativa è quella del risanamento del Teatro Massimo di Palermo, il cui restauro è durato circa un quarto di secolo ed è stato contrappuntato da vicende (vere od immaginarie) di scorrettezze di ogni natura. Attenzione, come è noto, l’intero comparto delle fondazioni liriche è in pieno caos. Il debito accumulato dalla loro creazione con la “Legge Veltroni” supera i 300 milioni di euro. Il totale dei sussidi pubblici (Stato, Regioni, Province, Comuni) è aumentato dal 2001 al 2008 da 332 a 351 milioni di euro l’anno, ma nell’arco dello stesso periodo i costi di produzione sono passati da 506 a 558 milioni. Il Carlo Felice di Genova è sull’orlo del fallimento. I Teatri comunali di Bologna e Firenze sono sulla stessa strada. Il San Carlo è stato commissariato per anni e la scorsa stagione ha presentato appena una manciata di titoli.
Nel 2004, il Teatro Massimo di Palermo era afflitto da una crisi grave. Il management ha adottato una cura da cavallo: consolidare i debiti con un mutuo contratto con una grande banca internazionale, ampliare la produzione (non ridurla) abbattendo i costi tramite coproduzioni con grandi teatri italiani e stranieri, l’impiego di artisti giovani con cachet contenuti (ma nell’arco di qualche anno protagonisti nei maggiori palcoscenici mondiale), un programma mirato alle scuole, un cartellone che equilibra innovazione con tradizione. Da cinque anni, il Massimo chiude i bilanci consuntivi in attivo (al netto del servizio del mutuo) ; questa stagione presenta 104 recite d’opera e balletto a confronto delle 125 della Scala di Milano e delle 25 del San Carlo di Napoli; ha anche un nutrito programma di sinfonica e recite speciali per i giovani (30.000 ragazzi di Palermo e dintorni vanno ogni anno almeno una volta all’opera). Il risanamento del Massimo viene studiato dai maggiori teatri stranieri ed ha interessato la maggiore stampa estera specializzata.
E’ una vicenda da analizzare. Con orgoglio. Non solo con gioia.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento