lunedì 6 settembre 2010

IL BOOM DEI COMMODITY? MANEGGIARE CON CAUTELA Syntesis settembre

IL BOOM DEI COMMODITY? MANEGGIARE CON CAUTELA
Giuseppe Pennisi


Prima o poi, doveva arrivare. E portare con sé notizie buone e meno buone. La forte crescita economia dell’Estremo Oriente (Cina, in primo luogo) e dell’India ha, da un lato, creato una nuova vasta classe di consumatori (con appetiti per i prodotti ed i servizi occidentali) e, da un altro, innescato tensioni sui mercati delle materie prime e dei prodotti di base. In Europa più che in America, ciò minaccia di mettere in moto una nuova spirale inflazionistica. Trecento milioni di cinesi hanno superato, negli ultimi dieci anni, la barriera della povertà (lo standard internazionale secondo cui si è poveri se una famiglia di due persone ha un reddito che è la metà del reddito medio del Paese in questione) ed 80 milioni (ossia tanto quanti i tedeschi) hanno un reddito superiore a quello medio dell’Ue a 27 e pari a quello dell’area dell’euro.
In un saggio ancora a circolazione limitata (NBER Working Paper No. W13184), il Premio Nobel Robert Fogel avverte che se le tendenze degli ultimi 20 anni continueranno nel 2040 il Pil della Cina sarà pari a tre volte la produzione mondiale di beni e servizi computata per il 2000. Secondo Angus Maddison il Pil della Cina, se computato a parità i potere d’acquisto è già pari all’80% di quello degli Usa con il risultato che il Celeste Impero è il vero motore dell’economia mondiale. Un mutamento strutturale di tali dimensioni non può non scombussolare l’economia mondiale. Aprendo, però, anche interessanti opportunità.
All’ultima conta, computato in dollari Usa, l’indice aggregato delle materie prime dell’Economist (in dollari Usa) è cresciuto, in 12 mesi, del 22% e quello del petrolio grezzo del 54%; ma, grazie ad alcuni raccolti eccezionalmente buoni ed a progressi nella concimazione, quello dei prodotti alimentari è rimasto stabile Negli ultimi cinque anni, in dollari Usa, i prezzi del petrolio sono aumentati del 158%, quelli del frumento del 126%, quelli del nickel addirittura del 415%. Alla Banca centrale europea (Bce), si stima che nel 2010 sarà difficile tenere la crescita dell’inflazione nell’area dell’euro al di sotto del 2% (come prescritto negli Statuti dell’istituto), alla Federal Reserve si ritiene che nell’eurozona l’inflazione viaggerà sul 3% l’anno, costringendo la Bce ad una manovra restrittiva.
Quali implicazioni per l’Ue? Un’analisi del Centro di Ricerca Economica Europea tedesco (per avere il testo si scriva a mio nome a oberndorfer@zew.de, precisando, se si vuole, di inviare la versione in inglese) dimostra che la crisi delle forniture di gas russo all’Ucraina (che si temeva si estendessero al resto d’Europa) non ha avuto alcun effetto di rilievo sulle Borse , neanche nel campo (molto volatile) delle azioni del comparto dell’energia in quanto, in parte, l’accentuazione della volatilità è stata, in parte, messa in conto ai primi annunci russi e, in parte, riequilibrata dall’espansione (inattesa) degli utili di molte aziende a ragione dei ritocchi ai prezzi dell’elettricità. Un altro studio del Centro (scrivere a dannenberg@zew.de per il testo integrale) conclude che il maggior rigore in termini di regolazione ambientale (che potrebbe essere innescato dall’aumento dei prezzi di materie prime nel campo dell’energia) potrebbe avere impatti su alcune aziende ma non farebbe neanche un soffio (negativo o positivo) agli andamenti macro-economici Ue (ai quali rispondono i mercati).
Un corollario potrebbe essere quello di aumentare gli investimenti in materie prime od in titoli strutturati che hanno i prodotti di base come sottostante. Occorre cautela, da un lato, alcuni prodotti (si pensi al nickel) potrebbe avere toccato vette dove assestarsi od anche cominciare a discendere. Da un altro, attenzione alla trasparenza dei prospetti e dei libri contabili. Robert W. Macgee della Andreas School of Business di Barry University (bob414@hotmail.com) sta circolando tra gli addetti ai lavori un’analisi dettagliata di come le aziende del settore russo dell’energia (uno dei più internazionalizzati ed avanzati) pubblicano la loro contabilità; adottano standard internazionali ma pubblicano i dati molto più tardi di imprese analoghe nel resto del mondo.

Infine occorre grande attenzione ai rapporti con la Russia, principale produttore europeo d’energia. Più che soffermarsi ulteriormente sulle specifiche dei contrasti tra Russia ed Ucraina, è bene tracciare le prospettive che si presentano nell’ipotesi (verosimile) che gli intrighi di RosUkrEnergo (il conglomerato guidato da oligarchi dei due Paesi ed unico intermediario per le vendite di gas russo a Kiev) riprendano quanto prima. Il Premio Nobel Douglas North ci ha insegnato che all’avvicinarsi di nuove regole, le vecchie si irrigidiscono , anche e soprattutto su pressione dei gruppi di interesse a cui il nuovo farebbe perdere vantaggi.
Guardando in prospettiva, occorre, in primo luogo, non nutrire troppe illusioni né su una soluzione duratura della vertenza né sulle implicazioni dei principali percorsi alternativi per portare gas dall’ex-Impero sovietico all’Ue. In primo luogo, le due condotte promosse da Mosca, il Northern Stream (di particolare interesse per la Germania) ed il Southern Stream , eviterebbero il passaggio attraverso l’Ucraina ma l’Europa resterebbe tributaria del gas russo (e dei conflitti all’interno del Cremlino e tra Cremlino e altri oligarchi). In secondo luogo, anche dopo la messa in funzione del Nabucco (il gasdotto, promossa da Use ed Ue, che dovrebbe portare gas dell’Asia Centrale, principalmente dall’Azebarjan, all’Europa), il 40% dell’import europeo di gas continuerebbe a provenire dalla Russia. In parole povere, nessuno di questi progetti sostituisce i cento miliardi di metri cubi di gas che ora attraversano l’Ucraina.
Che risposte dare? Dato che qualsiasi alternativa tecnica comporta tempi tecnici niente affatto brevi, l’Ue deve imporsi regole di comportamento: a) bloccare, con sanzioni pesanti, accordi bilaterali con la Russia che farebbe sgretolare il fronte europeo; b) premere su Ucraina e Russia perché giungano ad un contratto a lungo termine con una formula, per la definizione e l’aggiornamento del prezzo, analoga a quella in vigore in numerosi contratti tra Gazprom e Paesi europei (o i loro enti per gli idrocarburi); c) fare pressioni sull’Ucraina screditandola come partner commerciale, e mostrando sanzioni (tra cui la sospensione dal G8); d) diversificare le proprie fonti di energia.
Unicamente una strategia internazionale ed europea? Un lavoro dell’Iefe (l’istituto di studi sulle fonti di energia della Bocconi) , lo IEFE Working Paper No. 16 traccia l’evoluzione della politica energetica italiana negli ultimi tre lustri e mette, correttamente in risalto, quanto effettuato con le misure di liberalizzazione già adottate. Pone, però, in risalto che nel campo specifico del gas, si è stati lenti sia in materia di flessibilità intertemporale della capacità di immagazzinare (e trattare le riserve) sia nel funzionamento del mercato in cui i prezzi non sono stati utilizzati come segnali di scarsità relative. Un altro lavoro Iefe (IEFE Working Paper No. 13 ) tratta specificatamente di questi due temi, utilizzando un’interessante tecnica micro-economica. La (tardiva) liberalizzazione ha aumentato l’accesso agli stoccaggi , riducendo i privilegi di chi era in posizione dominante, ma è stata “dinamicamente inefficiente” : i meccanismi per la definizione delle tariffe, vincoli fisici alla capacità, e sanzioni troppo basse hanno ridotto gli incentivi ad espandere la gamma di strumenti per facilitare l’incontro tra domanda ed offerta (in tema di stoccaggio). Per superare questi ed altri nodi, occorre la creazione di un efficiente mercato a punto (spot market).

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