giovedì 2 settembre 2010

l’alfiere e il suo doppio alla “sagra” low cost di Rimini Il Velino 2 settembre

CLT - Lirica, l’alfiere e il suo doppio alla “sagra” low cost di Rimini
Rimini, 2 set (Il Velino) - La sagra musicale di Rimini, giunta alla 61esima edizione, è un raro esempio di festival finanziato quasi interamente dagli enti locali, da imprese e dalla biglietteria. È anche un festival che, pur allacciandosi al grande repertorio e dedicando tradizionalmente la prima sezione a uno dei maggiori compositori di tutti i tempi (Bach), traccia nuove strade in un campo tradizionalmente distante da festival cameristici e sinfonici: l’opera lirica. Merita grande attenzione, quindi, da parte del ministero dei Beni culturali non solo come campione di grande evento internazionale articolato su vari mesi e in gran misura autofinanziato, ma anche per il sentiero che apre alla lirica. Fino al 6 novembre l'edizione 2010 (iniziata il 4 agosto) comprende quattro concerti cameristici dedicati a Bach, sei per grandi complessi sinfonici (Gewandhausorchester di Lipsia, Mahler Chamber Orchestra, Orchestra Filarmonica della Scala, Czech Philharmonic Orchestra, Bayerisches Staatsorchester) con bacchette di rango (Riccardo Chailly, Constantinos Carydis, Semyon Bychkov, Ion Marin, Kent Nagano) e sette affidati a giovani esecutori, in cui Schumann viene giustapposto al moderno. I concerti sinfonici vengono spesso replicati, dopo qualche giorno, al MiTo. Non solo il pubblico della Romagna e dintorni ha spesso un’anteprima della grande sinfonica milanese e torinese ma il menu viene offerto, a prezzi decisamente concorrenziali, anche a tutti quei turisti stranieri che si recano sulle spiagge dell’Adriatico. Dopo Bach e la sinfonica, il festival prosegue con una serie di eventi “collaterali” ma che hanno un grande rilievo per gli appassionati di musica: chicche come i mottetti seicenteschi riminesi, musica agganciata alle grandi scuole di medicina del Seicento, convegni e anche una rara edizione de “Il mandarino meraviglioso” di Bartòk.

Dopo la rassegna dedicata a Bach e prima della sinfonica, anche quest'anno la Sagra ha presentato, ieri e l’altroieri, la prima mondiale della versione scenica (in opera di camera) di un lavoro concepito inizialmente per la cameristica. È il quarto anno che, guidato da Denis Krief (regista, scenografo, e autore dei costumi e delle luci) , si ripete un esperimento ormai diventato un appuntamento obbligato per i maggiori critici italiani e stranieri. Già nell’immediato dopoguerra, Benjamin Britten era convinto che il ritorno all’opera da camera fosse il futuro del teatro in musica (a fronte dei crescenti costi della lirica tradizionale); vi dedicò lavori di grande bellezza le cui prime mondiali avvennero nel “suo” teatro (che dopo essere stato ampliato, aveva 300 posti). Giancarlo Menotti era della stessa idea e in questo spirito compose deliziose opere da camera per bambini. Pure quel genio di Igor Stravinsky era della partita. Krief e i riminesi fanno di più: prendono un testo originariamente non composto per la scena e con un budget risicatissimo ne mostrano il valore drammaturgico in quel luogo fantastico che è il “Teatro degli Atti”, rovine di un convento bombardato. Per predisporre il pubblico alla lirica, poi, in un cinema di Rimini si possono vedere circa due volte al mese spettacoli in diretta da La Scala, Regio di Parma, Covent Garden e via discorrendo. Un’azione concreta che merita di essere ricordata perché altre città ne prendano esempio.

Lo spettacolo di Krief unisce la musica dedicata dai compositori Viktor Ullmann e Frank Martin a “Die Weise von Liebe und Tod des Cornets Christoph Rilke” (Il Canto d’amore e morte dell’alfiere Christoph Rilke), del poeta e scrittore Rainer Maria Rilke. Il lavoro racconta per due volte - e in forma diversa - a ballata di Rilke, seguendo l’unitaria interpretazione scenica di Krief e la presenza del pianista Francesco Libetta, del mezzosoprano Brigitte Ravenel e di Hans Fleischmann voce recitante. “Prima Martin e poi Ulmann - spiega Krief - ma non si può far finta che la storia rimanga la stessa. Il pubblico assisterà a uno spettacolo e alla memoria dello spettacolo a cui ha assistito. E ritornando sempre alle parole di Rilke”. Il testo di Rilke, scritto di getto nel 1899 “in una notte di nuvole e luna”, evoca il destino di un antenato del poeta stesso, Christoph, un giovane aristocratico partito per la guerra nel 1666 come alfiere in un reggimento della cavalleria imperiale e disperso in Ungheria dove il suo corpo non fu mai ritrovato. Ma il pretesto si trasforma subito in una sorta di amalgama all’interno del quale Rilke fonde quelli che saranno gli elementi costitutivi della sua poetica: il motivo della morte precoce, l'iniziazione alla morte attraverso l'amore, la figura dell'eroe come emblema della comunità delle stirpi, l'eros come forza ancestrale.

Pubblicato nella stesura definitiva nel 1912, il “Cornet” (“Alfiere”) riscosse un enorme successo: ne furono vendute cinquemila copie nelle prime tre settimane, quasi duecentomila entro il 1922. In un raro e utile saggio, il musicologo Alessandro Taverna ricorda che nel periodo tra le due guerre e in quello immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale, molti musici sono stati attratti dalla “ballata” di Rilke; tra essi Kurt Weill, Paul von Klenau e Kasimir von Pászthory. La scelta della Sagra è caduta sulle versioni di Ullman e Martin in quanto i due compositori si rivolsero al lavoro mentre la seconda guerra mondiale volgeva al termine ma in condizioni ben diverse. Viktor Ullmann era internato nel campo di concentramento di Theresienstadt e a pochi mesi dalla morte nel lager di Auschwitz nel 1944 riuscì a mettere in musica dodici parti del ciclo per voce recitante e pianoforte e a farle rappresentare più volte in campo di concentramento mentre gli interpreti prima e il compositore stesso e la moglie poi stavano per essere trasferiti alla camere a gas. Nello stesso periodo, il compositore elvetico Frank Martin portò a termine nella neutrale Svizzera un melologo dove le parole di Rilke sono affidate a una voce di mezzosoprano. I due compositori nel pieno del secondo conflitto mondiale.

Pur se differenti, le due composizioni appartengono allo stesso clima, quello in cui Schönberg stava cercando di riportare a unità, con la magia della dodecafonia, i vari rivoli in cui si disperdeva il fiume della grande famiglia musicale europea. Complessivamente il lavoro dura un’ora e mezza, un tour de force di virtuosismo per Francesco Libetta (il pianista) alle prese con due partiture che discrivono i luoghi e le anime. Nella prima parte, il mezzo soprano Brigitte Ravanel alterna il declamato (che a volte scivola in parlato) con ariosi (che a volte diventano arie vere e proprie); altro tour de force in cui si sale ad acuti da musica barocca a gravi quasi da cabaret berlinese degli anni Trenta. Su due schermi viene proiettato il testo italiano, con lo sfondo di proiezioni di filmati d’epoca (da La Kermesse Héroique a J’Accuse). La seconda parte è più serrata: non solo Ulmann non ebbe il tempo di completare ma il testo è recitato (da Hans Fleischmann) non letto. Cambiano anche i filmati: dalle guerre del Seicento (Kermese ) e dalla prima guerra mondiale (J’Accuse) siamo a film sulla seconda guerra mondiale e a documentari, nazisti, sui campi di concentramento. Non è certo un spettacolo leggero. Ma è un evento che non si dimentica, che induce a riflettere sul significato dell’esistenza terrena e dei doveri che ciascuno di noi, come il Cornet , ha verso di essa e verso gli altri.
(Hans Sachs) 2 set 2010 14:44
TOP

Nessun commento: