3 settembre 2010
Il giovane Rossini al Rof 2010
Già da adolescente Giacchino guardava beffardo al teatrino della politica
Estate calda per il teatro in musica in Italia. Il Carlo Felice di Genova viene chiuso e le masse tecnico artistiche messe in cassa integrazione per quattro mesi; all’Opera di Roma sembra abbia un disavanzo di 7 milioni di euro per la stagione in corso (le fondazioni di Genova e Roma sono appena uscite dal commissariamento); pare ci siano difficoltà a trovare manager musicali con vocazione al suicidio pronti a prendersi carico delle fondazioni liriche di Bologna e Trieste (i cui cda scadono in settembre). Stanno, però, terminando in utile o leggero pareggio una quarantina di festival lirici estivi (vedi Il Foglio del 2 luglio). Ed il Rossini Opera Festival (Rof 2010) appena terminato, è andato a gonfie vele in termini di affluenza e di incassi. Si sta pensando di adottare misure da Bayreuth (liste d’attesa pluriennali) o da Aix en Provence (vendite di “opzioni” di biglietti per il quadriennale Ring wagneriano). Sono tanti gli appassionati del nostro Gioacchino (il 70 per cento del pubblico è straniero; ai tradizionali tedeschi, inglesi, francesi e giapponesi si aggiungono, alla grande, i russi)? Pur se ha lasciato la propria (cospicua) eredità a Pesaro (per crearne il Conservatorio) ed è sepolto a Santa Croce, era un anti-italiano. Non solo guardò con sospetto il Risorgimento, ma amava vivere a Parigi e sin da adolescente sberleffava il “teatrino della politica” della Penisola. Non ha avuto maestri e non ha creato (volutamente) scuole. In un periodo in cui il melodramma tentava di farsi sempre vicino alla realtà romanzata, la sua musica è sempre stata astratta, sperimentale, agganciata al resto dell’innovazione europea.
E’ forse questa una delle determinanti che attira pubblico e critica al Rof 2010 in cui sono in scene tre opere giovanili (una sola nota, “La Cenerentola”) in cui Gioacchino guarda a quel “teatrino” della politica che imperversava negli Statarelli della Penisola e che sarebbe diventato “teatrone” dal 1848. E’ la prima volta che il breve “dramma serio” in due atti Demetrio e Polibio viene presentato sulla base di una revisione critica sulle fonti. E’ il primo lavoro per il teatro del Giovane Gioacchino che , all’età di 16 anni, lo ebbe commissionato dalla compagnia di giro Mombelli. E’ difficile dire quanto della musica sia di Rossini, giovanissimo, e quanto dei Morbelli. Richiede quattro personaggi, un piccolo coro ed un organico strumentale essenziale. Presenta due novità importanti: l’uso di un mezzo soprano (non di un castrato) per la parte “en travesti” del giovane amoroso e quello di un bari-tenore per il ruolo del “padre nobile”. La trama è tipica dell’ "opera seria": intrallazzi tra re , principi e principesse alla ricerca di nozze e corone. All’epoca una vicenda del genere veniva di norma trattata a tinte fosche. Lievissime e scherzose, invece, quelle di Gioacchino: il Rof lo sottolinea ancora di più in quanto il teatrino della politica è affidato a fantasmi (di politici del tempo che fu) su un palcoscenico quasi vuoto. Bravi i giovani cantanti cresciuti all’Accademia Rossiniana.
Ancora più acuta la mano ironica di Rossini, ormai ventiduenne, nel trattare in Signismondo un’antica leggenda romantico-religiosa (ispirò Schumann per Genoveva) . Allora (si era nel 1814, ossia tra Waterloo ed il Congresso di Vienna) le guerre tra polacchi e boemi, i malintesi tra fondatori di alleanze, gli intrighi del resto d’Europa erano all’ordine del giorno in tutto lo scacchiere europeo. La musica ambigua e beffarda di Gioacchino non solo le ridimensiona ma sottolinea il valore della tolleranza, volterrianemte è “necessaria l’intolleranza più rigorosa nei confronti dell’intolleranza”. Purtroppo, il giovane regista “politically correct” Damiano Michieletto si prende sul serio (Gioacchino non lo avrebbe mai fatto) ed ambienta il tutto in un manicomio inizio Novecento come fosse alla prese con Ibsen interpretato da Renzo Ricci oppure con un Brecht-Weill alla matriciana. Ottima l’esecuzione musicale; speriamo in un cd, non in un dvd.
Riguarda il teatrino della politica anche La Cenerentola del 1817? Eccome. Lo si vede non tanto nel colossale allestimento di Luca Ronconi (inizialmente presentato al ROF nel 1998 ed ora alla terza ripresa) ma in quello “politically uncorrect” che Robert Hall predispose a Glyndebourne nel 2005: le tensioni tra il ceto che scendeva le scale (del censo e del potere) e quello che le saliva erano chiarissime. Rossini dava loro una musica scintillante proprio in virtù della volterriana tolleranza.
Un quasi-qualunquista già da adolescente? Niente affatto. Farsi beffe del teatrino della politica non vuol dire non amare la Politica con la P maiuscola. Rossini lo mostrò, a tutto tondo, nel mirabile secondo atto del Guillaume Tell , sua ultima opera a soli 37 anni. Prima di un lungo silenzio. Mentre i teatrini della politica continuavano.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
di Giuseppe Pennisi
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