A SOPRESA ILNOSTRO FARDELLO E’ PIU’ LEGGERO DI QUELLO DEI VICINI
Giuseppe Pennisi
La crisi economica in corso dal 2007 (con le sua implicazioni nell’area dell’euro) è stata la molla per rivedere il “patto di crescita e di stabilità” , o tramite una revisione del trattato oppure tramite un protocollo interpretativo. In questo contesto, unicamente un quotidiano italiano di nicchia, ha riportato una notizia che merita di essere valutata con attenzione: Lituania, Lettonia, Bulgaria, Svezia, Slovacchia,Ungheria, Romania, Polonia, e Repubblica Ceca hanno proposto che nella revisione/ nuova interpretazione autentica del “patto di crescita e di stabilità” si tenga degli effetti delle riforme delle pensioni (sia effettuate sia in cantiere).
E’una proposta sensata poiché in un’Ue che invecchia (ed in un area dell’euro che invecchia a tassi ancora più rapidi di quelli dell’Ue in generale) il peso del debito a carico delle generazioni future è, pure ad una lettura superficiale, più importante delle oscillazioni dell’indebitamento annuo (spesso una conseguenza di movimenti di breve periodo del ciclo economico). Inoltre, in un’area in cui prevalgono sistemi previdenziali pubblici il debito previdenziale attualizzato (ossia riportato al suo valore odierno) e rapportato al Pil ha un significato ancora più pregnante del mero rapporto tra stock di debito pubblico e Pil. In Italia, si sono subito levate voci contrarie a questa proposta a ragione del nostro elevato indebitamento e debito pubblico (rispetto alla media dell’area dell’euro) e delle nuove difficoltà in caso di parametri previdenziali. Sono preoccupazioni immotivate e su cui la diplomazia economica dell’Italia dovrebbe riflettere alla luce dei calcoli esistenti non d’approssimazioni emotive.
I calcoli più pertinenti sono quelli pubblicati in primavera da Nicholar Barr (London School od Economics) e Peter Diamond (due dei massimi esperti di previdenza) in due volumi di studi comparati sulla previdenza nei Paesi Ocse, in un lavoro di Robert Holzmann(a lungo Vice Presidente responsabile della Protezione Sociale in Banca mondiale) ed in un’analisi di Jagadeesh Gokhale, del Cato Institute. In breve, il debito pubblico italiano è da capogiro se si include anche quello degli istituti previdenziali: ben il 364% del Pil. E’, però, inferiore alla media dell’Ue a 25 (ossia senza considerare Bulgaria e Romania): un massiccio 434% del Pil, con i dati per la Polonia (1550% del Pil), della Slovacchia (1149% del pil) e della Grecia (875% del Pil), addirittura da svenimento. E’ un fardello meno pensante di quelli di Francia (550% del Pil), Gran Bretagna (442% del Pil) e Germia (418% del Pil). Pare leggero se raffrontato alle stime per gli Usa dove ad un debito pubblico totale (Governo federale, Stati dell’Unione, previdenza obbligatoria, sanità per i poveri e gli anziani) che sfiora il 500% si aggiunge un debito di individui, famiglie ed imprese pari al 300% del Pil- fa tremare anche i Pini di Roma più secolari.
Non c’è da stare allegri, soprattutto per le nuove generazioni. Ma altrove la situazione è ben peggiore che da noi, soprattutto in Francia, oltre che in Grecia: nei due Paesi l’età “normale” della pensione è 60 anni- sia Sarkozy sia Papandreu hanno tentato di cambiarla, senza alcun esito (almeno per ora). Il lavoro di Holzmann indica il sistema contributivo figurativo (di cui Italia e Svezia sono stati i precursori nel 1995) come la strada da seguire per rimettere le cose a posto in Europa. Analoghe le conclusioni dei due volumi di Barr e Diamond, anche se, correttamente, insistono per una serie di modifiche per rendere più semplici gli adeguamenti alla dinamiche demografiche ed economico-finanziarie. Modifiche già inserite nella riforma svedese del 1995 e previste nell’aggiornamento effettuato pochi mesi fà di quelle iniziate in Italia 15 anni fa.
Possiamo, quindi, presentarci a testa alta: da un lato, abbiamo un “peso” previdenziale , pur elevatissimo, ma inferiore alla media dell’area dell’euro e di molti nostri vicini; a un altro, abbiamo un sistema esemplare (tanto che lo stanno imitando numerosi Paesi neocomunitari, Polonia in primo luogo) e che può essere il denominatore comune “europeo” di sistemi molto differenti in quanto a spettanze, organizzazione, gestione delle prestazioni e via discorrendo; da un altro, ancora, infine, abbiamo reso l’età legale di pensionamento flessibile ed agganciata all’apettativa media di vita alla nascita.
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