Qualche proposta per non perdere un patrimonio nazionale
Cooperazione e competizione
per salvare la musica
di Giuseppe Pennisi Tre preghiere non previste dalla liturgia chiudono la “Grande Messe Solennelle de Sainte Cécile” di Charles Gounod – una vera rarità per il panorama musicale italiano – ascoltata a Perugia al Teatro Morlacchi la sera del 25 settembre, a chiusura della Sagra Musicale Umbra, in un’esecuzione concertata da Michel Tabachnick alla guida del Noord Nederlands Orkest und Choor: la prima è “Pour la République”, la seconda “Pour l’Armée”, la terza “Pour la Nation”. Le tre preghiere danno il senso di quanto “la République”, “l’Armée” e “la Nation” siano centrali alla sensibilità dei nostri vicini francesi.
Questo magazine si occupa di riflessione politica, non di critica musicale. La Sagra Musicale Umbra ce ne fornisce un’occasione tanto più puntuale, in quanto è ormai imminente la riforma del Fondo unico per lo spettacolo (Fus), il principale strumento di politica musicale esistente in Italia. La manifestazione, nata nel lontano 1937 (è la più antica, con il Maggio Musicale, tra i festival italiani) è giunta alla 64esima edizione. È anche dedicata da sempre “alla musica dello spirito”, da intendersi in un senso più ampio di semplice “musica di Chiesa”. Nei suoi 67 anni, il festival ha spesso ospitato prime rappresentazioni, per l’Italia, di composizioni ispirate a religioni non-cattoliche e non-cristiane, o anche laiche pur se rivolte all’Alto.In questa edizione, opere di Georg Friedrich Haendel e Joseph Haydn (in occasione della ricorrenza dei 250 anni dalla morte del primo e dei 200 anni da quella del secondo) e chicche di Purcell e Alessandro Scarlatti vengono giustapposte al Novecento “storico” di Benjamin Britten e alla contemporaneità di Ivan Fedele, Sofia Gubaidulina, Salvatore Sciarrino, Arvo Pärt e Marco Momi, tutti con composizioni in qualche modo correlate a Santa Cecilia. Altri appuntamenti importanti, quelli con Soeur Marie Keyrouz e il suo Ensemble de la Paix per la prima volta a Perugia e alla Sagra, così come quelli con I Barocchisti diretti da Diego Fasolis, I Filarmonici di Baviera - KlangVerwaltung e l’Ensemble Epoca Barocca; mentre ritornano, sempre molto festeggiati, i Neue Vocalsolisten Stuttgart e Filippo Maria Bressan alla guida della Camerata Strumentale “Città di Prato” e del Coro Voxonus.La Sagra è iniziata al Teatro Morlacchi di Perugia il 12 settembre con l’esecuzione dell’oratorio Le Stagioni di Haydn, un grande affresco corale, diretto da Enoch zu Guttenberg alla guida dei Filarmonici di Baviera - KlangVerwaltung e del Chorgemeinschaft Neubeuern. Solisti, il soprano Carolina Ullrich, il tenore Jörg Dürmüller e il basso York Felix Speer. Anche la chiusura è avvenuta al Teatro Morlacchi, con l’esecuzione – come si è detto – della sontuosa Messa Solenne di Santa Cecilia di Charles Gounod. Due appuntamenti importanti per chi ama la musica contemporanea: il concerto, nel Museo di San Francesco a Montefalco, del gruppo Kamerinis Koras Brevis di Vilnius con l’Hymn to St. Cecilia di Britten e quello a Torgiano, nella Chiesa di San Bartolomeo, con Ullrike Brand al violoncello, Margit Kernalla bayan-fisarmonica e Roberta Cortese come voce recitante di due composizioni di Sofia Gubaidulina: In Croce per violoncello e fisarmonica e i Dieci preludi per violoncello solo, che accompagnano la recita di Paese senza parole di Dea Loher.
In breve, 16 concerti (di grandi complessi internazionali) in 15 città con grande partecipazione del pubblico locale. Non solo. Il Sovrintende del Festival di Salisburgo, Jürgen Flim, è stato letteralmente scovato dal direttore artistico tra il pubblico pagante in sala; era venuto per scoprire quali chicche invitare l’anno prossimo alla maggiore manifestazione musicale austriaca. Non si sono visti Sovrintendenti delle maggiori istituzioni musicali italiani, in tutt’altre faccende affaccendati.
Di queste faccende, la più importante è il Fus. Da alcuni anni, la dotazione del Fondo diminuisce (anche e soprattutto a ragione delle implicazioni sulla finanza pubblica della bassa crescita economica, prima, e della recessione, poi), mentre il numero dei soggetti beneficiari (alcuni per contributi di 10mila euro l’anno!) aumenta; il risultato è la polverizzazione a pioggia degli stanziamenti.
L’urgenza della riforma non vuole dire che si debba trattare di un riassetto frettoloso e definito senza un’adeguata consultazione con esponenti ed esperti del settore. Sarebbe auspicabile che la tematica non venisse affrontata unicamente da un gruppo molto ristretto di dirigenti ministeriali e di giuristi. Sarebbe auspicale che la materia venisse discussa, piuttosto, in seno al Consiglio superiore dei Beni culturali per avere il parere di esperti di altre discipline. Sono da incoraggiare, in questo senso, iniziative come quella dell’Istituto Bruno Leoni che il primo ottobre a Milano ha indetto un seminario per esaminare una “success story” romana e le lezioni di politica legislativa che se ne possono apprendere. Altra “success story” è la Sagra Umbra che con un budget totale di 250mila euro e un contributo Fus di 110mila euro, riesce a essere una delle manifestazioni più note nel mondo musicale europeo (anche se scarsamente apprezzata in certi ambienti italiani, forse perché sullo “spirito” e sull’anno di nascita si vuole gettare una coltre d’oblio).
Quali che siano le specifiche, la metà del Fus è da anni a supporto delle fondazioni liriche. Sono un notorio melomane dall’età di dodici anni, e ho espresso in tempi non sospetti serie perplessità sulla normativa alla base dell’attuale assetto (la legge Veltroni) quando è stata varata circa 13 anni fa. Ne ho preannunciato gli ultimi sviluppi, in un breve saggio pubblicato sul periodico Musica nella primavera 2006. Quindi, nulla di nuovo sotto il sole. La diagnosi resta immutata: in un paese dove non si fa politica della cultura musicale da circa settant’anni, le fondazioni liriche (di diritto privato) sono in uno stato comatoso: sono necessariamente fragili (prive di un “sottostante” strato culturale che dia loro un forte supporto pubblico) e sono travolte dalla più piccola crisi dei conti pubblici, anche di origine internazionale.
A fronte di una diagnosi essenzialmente immutata, del commissariamento di quattro fondazioni su tredici (e del probabile commissariamento di una quinta), di manifestazioni e scioperi , le soluzioni non possono non tenere conto del “morbo di Baumol” (dal nome dell’economista, William Baumol, che negli anni Sessanta ha scritto un fondamentale trattato sul settore): in un mondo in rapido progresso tecnologico, senza supporto pubblico (tramite sovvenzioni o sgravi tributari adeguati alle elargizioni filantropiche) la lirica muore (i teatri tedeschi hanno sovvenzioni che coprono mediamente il 90% dei costi e sono sempre pieni grazie a un “sottostante” diffuso, popolare ed attivo). Per l’Italia, dove 400 anni fa è nato il teatro in musica, ciò vuol dire una perdita pesante di patrimonio nazionale. In sintesi, le soluzioni possibili sono le seguenti:
Una revisione drastica della normativa sulle fondazione che comporti un ripensamento del loro status giuridico e una riduzione del loro numero (eliminandone un paio o per eccessiva contiguità territoriale con altre o perché hanno masse artistiche- orchestra, coro- qualitativamente al di sotto della media di buoni teatri europei) e introducendo maggior supporto ad altre iniziative originali, meritevoli e di alta qualità.Imporre per legge una gestione delle fondazioni restanti basata sul binomio cooperazione-competitizione. Cooperazione vuole dire dare vita a un cartellone nazionale con forti risparmi negli allestimenti e nei cachet degli artisti ed evitare che ciascuna fondazione miri a stagioni simili a mini-festival autoreferenziali. Competizione vuole dire premiare le fondazioni che, in base ai risultati di biglietteria e le valutazioni tecniche di una commissione internazionale, sappiano coniugare consuntivi in pareggio e alta qualità. Non dovrebbe succedere che uno dei più applauditi spettacoli di questa estate abbia avuto un budget di 25mila euro (e due sole rappresentazioni) e uno dei più fischiati sia costato 3 milioni di euro (per quattro rappresentazioni). Introdurre regolazione analoga a quella in atto al Metropolitan di New York e nei maggiori teatri austriaci e tedeschi per calmierare cachet e costi di produzione. Mettere in atto sia una rigorosa valutazione della qualità, sia il principio del “matching grant”, in base al quale il supporto pubblico deve essere correlato a quanto la fondazione musicale riesce a ottenere dagli sponsor e dal mercato.
30 settembre 2009
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