Musica, con “Il Viaggio a Reims” il belcanto fa tappa a Roma
Roma, 22 set (Velino) - Dopo il successo riscosso nel 2008, anche quest’anno a Roma l’Accademia di Santa Cecilia ha messo in cantiere un festival del “belcanto”. In primo luogo occorre specificare cosa s’intenda per “belcanto”. Si tratta di una tecnica di canto virtuosistico caratterizzata dal passaggio omogeneo dalle note gravi alle acute e da agilità nell'ornamentazione e nel fraseggio. E’ caratterizzato dalla perfetta uniformità della voce, da un eccellente legato, da un registro lievemente più alto del consueto, da un'incredibile flessibilità e da un timbro morbido. La maggiore enfasi posta sulla tecnica, rispetto al volume, fa sì che il “belcanto” sia associato a un esercizio atto a dimostrare la bravura: il cantante dovrebbe essere in grado di reggere una candela accesa davanti alla bocca e di cantare senza far oscillare la fiamma. E’ arduo dire che la grande Sala Santa Cecilia consente al “belcanto” di dispiegarsi in tutte le sue caratteristiche. Il “belcanto” in senso stretto ha una durata relativamente breve: inizia alla seconda metà del Settecento e termina all’inizio dell’Ottocento. A rigore, Vincenzo Bellini ne è il maggior esponente. I momenti più importanti del festival 2008 sono stati un concerto della “belcantista” per antonomasia Cecilia Bartoli e l’esecuzione delle belliniana “Norma”. Ancor prima che dal melodramma verdiano, il “belcanto” in senso stretto è travolto dal teatro in musica di Mozart, dalle stesse “opere serie” come “Idomeneo” e “La Clemenza di Tito” il cui libretto era stato scritto da Metastasio cinquanta anni prima che il salisburghese ci mettesse le mani su un testo riveduto da Giambattista Veresco.
L’edizione 2009 del festival, dal 16 al 26 settembre, comporta sei spettacoli di cui uno replicato due volte e un altro quattro. Bellini non è presente all’appello. Vi è invece molto Rossini (tre dei sei spettacoli) che, a rigore, non appartiene al “belcanto” e il mozartiano “Flauto Magico”, prodotto da RomaEuropa Festival per inaugurare la sua 24esima stagione, nella versione pop-rock dell’Orchestra di piazza Vittorio. Quindi, il termine “belcanto” deve essere inteso come una cornice molto vasta e molto vaga entro cui incastonare il festival. E’ stato inoltre inaugurato dal jazzista Danilo Rea con una serie non di parafasi ma di improvvisazioni basate principalmente su Bellini e Donizetti. Uno di punti forti è comunque avere portato a Roma, in forma semi-scenica, “Il Viaggio a Reims” di Gioacchino Rossini, opera “miracolata” in quanto considerata perduta sino a quando una studiosa americana ne ha ritrovato la partitura originale (in gran parte riutilizzata dallo stesso Rossini per “Le Comte Ory”) nei polverosi archivi dell’Accademia di Santa Cecilia. “Il Viaggio” venne lanciato da una favolosa esecuzione scenica (regia di Luca Ronconi, scene di Gae Aulenti, direzione musicale di Daniele Abbado) al Rossini Opera Festival del 1984, poi ripresa diverse volte a Pesaro, Vienna e alla Scala.
Variamente chiamato, negli stessi autografi, “Cantata Scenica” o “Opéra Comique en un Act”, “Il Viaggio a Reims” è un lavoro d’occasione: permette di mostrare l’abilità dei sette maggiori cantanti del Théatre Italien di Parigi nei giorni del 1825 in cui si festeggiava l’incoronazione di Carlo X, il quale avrebbe concesso a Rossini un lauto stipendio e una ricca pensione di cui il nostro ha goduto dall’età di 37 anni (Caro Renato Brunetta, i baby pensionati non sono un’italica invenzione recente…). Sta a “Le Comte Ory” come “Ernani” sta a “Il Trovatore”: un magnifico abbozzo di quello che sarebbe diventato uno stupendo lavoro completo. Purtroppo i bigotti impresari del romanticismo e del Novecento storico hanno boicottato “Le Comte” poiché troppo intriso di eros. E’ comunque lavoro importante che richiede un cast di stelle. Sorprende che abbia impiegato oltre 30 anni per arrivare dagli archivi alla Sala grande dove opera l’Accademia di Santa Cecilia e che in questi tre decenni sia stato ignorato anche dal Teatro dell’Opera. “Belcanto” o meno è un’operazione che andava fatta. E che è stata fatta a un alto livello artistico. Inutile raccontare la non-trama: altolocati di vari paesi europei attendono di andare alle feste per l’incoronazione in un albergo termale, ma vengono a mancare i cavalli per le carrozze e il festeggiamento viene fatto in albergo. E’ unicamente un pretesto per mostrare all’epoca cosa fossero in grado di fare Giuditta Pasta, Adelaide Schiassetti, Laure Cinti, Domenico Donzelli, Marco Bordogni, Felice Pellegrini, Vincenzo Graziani e Nicholas-Prosper Lévasseur, ossia il meglio del meglio del Théatre Italien.
Per quanto riguarda l’esecuzione al festival di Santa Cecilia, la bacchetta di Kent Nagano è molto differente da quella di Claudio Abbado: meno frizzante forse, ma più trasparente e di maggior supporto ai cantanti specialmente nel “grande pezzo concertato a quattordici voci”, uno dei momenti più alti e più complessi del lavoro. Il suono dell’orchestra è, al tempo stesso, rotondo e lucente; i solisti (l’arpa, i fiati) sono veri e propri virtuosi. Abbado, va ricordato, aveva a disposizione l’orchestra giovanile della Comunità europea (sia a Pesaro sia nel disco che ne ha immortalato l’esecuzione): senza dubbio giovani professionisti di gran valore, ma non con l’esperienza dei professori di Santa Cecilia.
“Il Viaggio” è un poema di voci e per voci. L’Accademia ha coniugato cantanti già molto noti (Daniela Barcellona, Nicola Ulivieri, Dmitry Korchak, Paolo Bordogna), con voci che adesso stanno cominciando a farsi conoscere (Shi Yijei, Mirco Palazzi, Ellie Dehn, Elena Gorshunova) e con giovanissimi del proprio Opera Studio. Ci vorrebbero pagine per commentare ciascun interprete e l’ottima tenuta d’insieme. Una sola menzione: la 23nne Rosa Feola nel ruolo di Corinna, la parte che rese celebre Cecilia Gasdia e che forse è la più prossima di tutte alla purezza del “belcanto”. E’ stata straordinaria e si è meritata applausi a scena aperta. Un suggerimento: non segua il percorso della Gasdia che, nel giro di tre lustri, ha rovinato il proprio strumento cantando anche ruoli di soprano drammatico. Resti ancorata al “belcanto” di Bellini, Donizetti e di certi ruoli rossiniani: di voci come la sua c’è tanto bisogno perché il “belcanto” possa continuare a essere ascoltato. Un’ultima annotazione: complimenti alla regia di Elisabetta Courir nel difficile spazio scenico e ai bei costumi presi in prestito dal Teatro dell’Opera.
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