E’ tutta in salita la strada verso le “nuove regole globali” che il Vecchio Continente vorrebbe proporre al resto del mondo: da tetti ai bonus dei maghi della finanza a nuove versioni della “Tobin Tax” (ripudiata, del resto dallo stesso Tobin una dozzina di anni fa) sulle transazioni finanziarie a breve, da nuove mascelle e nuovi denti ad un Fondo monetario (una volta riformato) a varie forme di lotta alla non meglio definita “speculazione”. Il comunicato finale di Pittsburgh, peraltro redatto (ed in gran misura negoziato da settimane), prevede almeno un anno di trattative , durante il quale può accadere di tutto. Alla vigilia del vertice, sulla scrivania di Barack Obama troneggiava il pillolame (ossia il super-sunto in pillole) di uno studio di Paul R. Masson e John C. Pattison della Joseph Rotman School of Management intitolato "Financial Regulatory Reform: Using Models of Cooperation to Evaluate Current Prospects for International Agreement" – ossia “Riforma delle regole internazionali per la finanza: prospettive di un accordo internazionale utilizzando modelli di cooperazione”. Il lavoro, ancora inedito, si può richiedere agli autori (paul.masson@rotman.utoronto.ca; johnpattison@rogers.com).
Ai politici e ai loro “sherpa” non interessa tanto l’analisi (rigorosamente condotta in termini di “teoria dei giochi”), ma la conclusione del lavoro: in un club vasto e diversificato come il G20 è improbabile raggiungere gli stessi prolegomeni di un accordo che non sia tanto vago e tanto ambiguo da voler dire poco o nulla. Quindi – dicono gli americani – meglio non perdere tempo e passare ad altro (mentre, per il momento, ciascuna area geo-economica badi a mettere le regole di casa propria in ordine senza troppe ambizioni mondialistiche). D’altronde – si fa notare a Washington – è ciò che gli europei stanno già facendo, con il varo unilaterale, alla vigilia del vertice, del nuovo sistema di vigilanza bancaria nel loro Continente. Tale mossa viene vista come un errore tattico poiché rafforza la tesi, sostenuta dagli Stati Uniti e da altri Paesi (specialmente gli asiatici) del G20, secondo cui le “rules” dovrebbero essere al massimo regionali – e tra gruppi di Paesi omogenei – e non “global”.
Cosa vuol dire passare ad altro? Concentrarsi sul nodo degli squilibri finanziari mondiali, come afferma un documento del Tesoro Usa, chiamato “i principi di Geithner” quasi a contrapporlo ai “principi de L’Aquila”. Il documento non respinge in toto i punti definiti dal G8 in luglio. Propone una serie di misure per aumentare le “difese” delle istituzioni finanziarie (banche, assicurazioni) nei confronti di tempeste sui mercati (in sostanza incrementi del capitale e delle riserve). Tende la mano agli europei (al Congresso Usa) in materia di incentivi ai manager (bonus, opzioni convertibili in azioni). Pone , però, soprattutto l’accento su come ridurre gli squilibri finanziari internazionali, ossia il disavanzo di conti con l’estero Usa e la caduta del valore internazionale del dollaro. A questo proposito punta il dito sui Paesi asiatici come principali responsabili degli squilibri che avrebbero aggravato (ed in parte originato) l’attuale crisi dopo il lungo periodo di “great moderation” (tassi d’interessi bassi, tassi di cambio senza troppi balzi, borse in rialzo ed immobiliaristi radianti di gioia). Il rinnovo del mandato a Ben Bernanke alla guida della Fed rafforza questo orientamento: per Ben è futile parlare di “nuove regole mondiali” se non si è giunti in precedenza ad un’intesa sui cambi.
I temi relativi agli squilibri finanziari sembrano appassionare i tecnici più che i politici (specialmente i Capi di Stato e di Governo) ma sta diventando un freno pesante al negoziato sulle “global rules”. I punti-chiave ormai sono due: a) in seno al G20 si è ripreso a mettere l’accento sui livelli auspicabili dei tassi di cambio, e sul regime di cambio per raggiungerli ed aggiornarli, gradualmente e senza traumi; b) nel breve e medio termine, l’onere del riassetto è posto principalmente, ove non esclusivamente, sull’Asia (Governi e Banche centrali) e non sugli Stati Uniti.
© 2009 - FOGLIO QUOTIDIANO
di Giuseppe Pennisi
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