Roma, 17 set (Velino) - Arrivata la notizia della inutile strage a Kabul, il pensiero è corso a uno dei concerti della Sagra Musicale Umbra che si tiene in questi giorni. In particolare a quello di souer Marie Keyroutz e del suo Esemble de la Paix nella magnifica chiesa medioevale di San Bevignate, riaperta, dopo anni ed anni di restauri, per questa occasione. Soeur Marie è una suora di origine maronita e melchiana di concrezione religiosa. Nata in Libano, nei pressi di Baalbeck, ha un dottorato in musicologia e antropologia religiosa e un diploma in canto classico occidentale. Sotto il profilo tecnico è un “soprano assoluto” con un registro molto vasto e la capacità di ascendere ad acuti elevatissimi e discendere con naturalezza a tonalità gravi. È, in breve, una suora studiosa che canta. Perché canta? Lo ha detto lei stessa in un’intervista: per mettere la musica al servizio dei valori, di quello più alto che è la fede ma anche di quello più importante sul piano terreno che è la pace.
Ha fondato a Parigi un Istituto di Musicologia e anche uno speciale gruppo strumentale, l’Ensemble de la Paix. Costituito unicamente da uomini (di un’ampia gamma d’età), l’Ensemble coniuga strumenti mediorientali , principalmente a corda (il nay, il riqq, il naqus, il mahar, il quanun), con strumenti occidentali, quali il pianoforte e il contrabbasso. Nel concerto di domenica scorsa ha declinato il “Salve ,o Maria” di Mascagni e il “Panis Angelicus” di Franck con canti, spesso tratti dal Vangelo, della chiesa siriaca maronita. Chi ha una certa dimestichezza con la musica ebrea Bukhara (sono emigrati dall’Asia centrale negli Usa, quelli non sterminati nei genocidi comunisti), rimane colpito dalla somiglianza nel lessico musicale delle tre grandi religioni monoteiste. Lo si avverte specialmente nel “Touba lahum” (le Beatidini dal Vangelo di San Matteo cantate da souer Marie a conclusione del concerto). La Sagra Umbra è da 64 anni dedicata alla pace: perché non portarla, con un finanziamento speciale, come messaggero di pace in luoghi di guerra come l’Afghanistan e l’Iraq? Benedetto XVI in più di un’occasione ci ha ricordato che la musica è la più alta delle arti perché è quella che più ci avvicina all’Altissimo.
Anche il concerto inaugurale è stato dedicato alla pace: un “oratorio laico”, ma intriso di religiosità, raramente eseguito in Italia, “Die Jahreszeiten (Le Stagioni)”. È opera matura di un Joseph Haydn quasi settantenne. Composta nel 1800, rappresenta sotto numerosi punti di vista, un ponte tra il classicismo settecentesco e il romanticismo del XIX secolo appena iniziato. Si avvertono presagi, principalmente con il “Freischütz” di Weber (la tempesta della seconda parte e la caccia della terza) e con la “Sinfonia Pastorale” di Beethoven (la descrizione della natura, specialmente nella prima parte sin dall’introduzione in “Si” bemolle). Ciò che distingue l’esecuzione concertata da Enoch zu Guttenberg, alla guida di un orchestra e di un coro da lui creati, rispetto ad altre, è l’accento su questi presagi romantici, pur restando nella struttura formale classica. Per zu Guttenberg, non siamo più in un “oratorio” settecentesco, ma in un’anticipazione di quella che sarebbe stata l’opera romantica tedesca prima della riforma wagneriana. È un’opera a tre personaggi (padre, figlia, fidanzato della figlia), semplici contadini, con un doppio coro, pure esso di contadini, a loro contorno. Si avverte una vicenda di amore nel trascorrere delle stagioni e nel comprendere insieme il significato trascendente della esistenza terrena.
(Hans Sachs) 17 set 2009 19:43
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