Le Banche centrali sono tornate alla grande sul mercato dell’oro. Non per vendere- come avevano previsto gli esperti anche sulla base di un accordo fresco d’inchiostro . Ma per comprare lingotti . Veniamo, prima, ai dati e, poi, alle spiegazioni. Secondo l’istituto di ricerca londinese Gfms , che opera per il Consiglio mondiale dell’oro (Cmo), nel secondo trimestre 2009 gli acquisti netti di oro da parte degli istituti d’emissione hanno superato le 14 tonnellate di lingotti; una vera e propria svolta se si pensa che nel secondo trimestre 2008 le vendite nette avevano sfiorato le 70 tonnellate di lingotti. Un lingotto equivale a 400 once d’oro (12,44 kg); il prezzo di un’oncia è attorno ai mille dollari Usa.
C’è un dettaglio tecnico: le 35 tonnellate fisicamente uscite dal caveau della Bce tra aprile e giugno sono state contabilizzate dal Gfms in marzo (quando la transazione è stata conclusa). La svolta è però dimostrata anche dal fatto che nel primo semestre 2009 le vendite da parte delle banche centrali non hanno toccato le 39 tonnellate, il livello più basso dal 1997, con una contrazione del 73% rispetto al primo trimestre 2008.
Il 7 agosto, gli istituti che fanno parte del Central Banks Gold Agreement (Cbga) hanno rinnovato l’accordo - per il periodo 27 settembre 2009 – 26 settembre 2014- ponendo un limite più basso al 60% (che sino ad allora) era stata la percentuale delle loro riserve che detenere (come obiettivo) in lingotti. In altri termini, l’accordo implica vendite totali di oro (da parte delle banche del Cbga) di 400 tonnellate, invece che di 500 tonnellate l’anno. Il Sistema europeo di banche centrali (Sebc), ossia l’area dell’euro, è il pilastro dell’accordo, di cui fanno parte anche le Banche centrali di Gran Bretagna, Svizzera e Svenzia. Il Fondo monetario, la Russia,la Cina, e molti Paesi del Medio Oriente non fanno parte dell’accordo ed hanno molto tonnellate di metallo giallo nelle loro cassaforti. Gli acquisti sono stati effettuati, secondo lo studio Gfms, specialmente dal Sebc e dalla Cina. Sempre secondo l’analisi Gfms, l’accordo (i cui termini sono abbastanza ambigui in materia di tempistica) implicherebbe un improbabile cambiamento di strategia da parte dalle Banche centrali di Francia e d’Italia, sino ad ora strettamente abbracciate ai loro 3025 e 2452 lingotti, rispettivamente.
Un osservatore attento come Nouriel Roubini aveva affermato, nel suo blog del 10 agosto, che il nuovo accordo avrebbe avuto l’effetto d’accelerare le vendite. Sta avvenendo il contrario proprio in una fase di aumento della domanda (nel secondo semestre l’aumento in volume è stato ad un tasso annuale del 46%.) e, quindi, delle quotazioni.
La spiegazione più banale è che le banche centrali abbiano fatto , e stiano facendo incetta prima dell’entrata in vigore del nuovo Cbga. Ma a che prò? I banchieri centrali non sono ingenui. Una spiegazione più articolata viene dal Presidente del Cmo: l’oro è ormai considerato come una categoria importante ed indipendente di attività finanziario, specialmente in una fase in cui alcuni Paesi stanno riducendo la proporzione delle loro riserve in dollari Uza.
Una spiegazione implicita e più articolata ancora si ha se si leggono con cura gli interventi di banchieri centrali al loro “ritiro” annuale a Jackson Hole, nello Wyoming. Da un lato, si avvertono timori di una nuova flessione nel 2010 quando le politiche di bilancio espansionistiche, il supporto alle banche ed alla metalmeccanica ed altre misure messe in atto in questi ultimi mesi avranno esaurito i loro impatti. Da un altro, c’è preoccupazione dell’Himalaya di debito (sia privato- famiglie, imprese- sia pubblico) attivata in questi ultimi due anni per parare la recessione. Da un altro ancora, c’è la paura di una nuova ondata d’inflazione (per scalfire l’Himalaya) e, quindi, di aumenti dei tassi. In queste circostanze avere i caveau pieni di oro può rivelarsi molto utile in quanto si disporrebbe di uno strumento in più per declinare una strategia economica e finanziaria convergente, ove non comune, per ridurre parte dell’Himalaya senza, da un lato, dovere operare sui tassi d’interesse (in modo che potrebbe fare da freno sull’economia reale) o senza dovere , dall’altro, immettere sul mercato riserve in dollari Usa con il rischio di un tracollo del valore internazionale del “greenback” e di una tempesta valutaria. Che nessuno desidera.
La Russia, la Cina e numerosi Paesi del Medio Oriente (che non hanno mai fatto parte del Cbga) vedono con timore e tremore i dollari Usa nelle loro riserve. L’oro può essere la munizione per un atterraggio dolce, non brusco, nella strada verso un nuovo equilibrio dei valori internazionali delle valute.
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