sabato 5 settembre 2009

MAXI, MIDI, MINI:3 VIE PER LA LIRICA Il Domenicale 5 settembre

Giuseppe Pennisi

Tra i temi che il Governo dovrà affrontare alla ripresa autunnale vi è quello del futuro del teatro in musica. Il “Dom” ha in più occasioni trattato delle malattie del settore: l’accumularsi di un debito stratosferico, il commissariamento di quattro fondazioni liriche su 13, il rischio di commissariamento di altre , la chiusura definitiva di “teatri di tradizione”. All’origine di questi problemi c’è anche la diserzione delle giovani generazioni. Agli occhi di un melomane viaggiante, è evidente che il pubblico è sempre più anziano. L’Istituto Bruno Leoni ha iniziato un programma di ricerche in questo campo: un seminario verrà tenuto il primo ottobre.

Ci sono, però, segnali importanti: la pre-inaugurazione della Scala aperta ai giovani a €10 a biglietto, le politiche di prezzo (tuttavia poco pubblicità) dei biglietti scontati attuati dai maggiori teatri lirici per chi ha meno di 26 anni e per chi è studente (di norma sino ai trent’anni), le iniziative di alcune Fondazioni (specialmente importante quella del Massimo palermitano) per portare le scuola a teatro e di converso il teatro alle scuole.
Al termine della stagione estiva festivaliera, è utile ricordare che lo Sferisterio di Macerata , il Gran Teatro Puccini a Torre del Lago ed i teatri di Aix-en-Provence riescono ad attirare giovani grazie a prezzi riservati alle nuove generazioni ed iper-scontati ed alla prossimità di luoghi di vacanze stracolme di giovani , pure di quelli che non amano finire la serata in discoteca. Più importante di questi aspetti è che ,
durante l’estate, si sono sperimentati, o si stanno sperimentando, tre approcci differenti su cui pochi si sono soffermati. Per semplicità, chiamamoli: il maxi, il midi ed il mini (o addirittura bichini) per attirare i giovani alla musica e, al tempo stesso, chiudere i conti in attivo o, quanto meno, in pareggio.
Il maxi è la “Tosca” scritta e composta da Lucio Dalla. Ha avuto un anteprima il 15 agosto, ha debuttato il 27 agosto a Torre del Lago (nel teatro intitolato a Giacomo Puccini) e ha in programma una lunga tournée (Verona in settembre, Bologna in Ottobre, Milano in Novembre, Roma il prossimo febbraio) con trasferte in Corea ed in Giappone. A Torre del Lago, inoltre, la si mette a confronto con un nuovo allestimento del lavoro pucciniano (con regia firmata da Beppe De Tomasi e Tullio Carminati alla direzione musicale). Nel “maxi” di Dalla dell’opera pucciniana resta la trama (anch’essa rivisitata con l’aggiunta di una veggente, che predice alla protagonista il proprio futuro). E’ una vera e propria “grand opéra” moderna, un kolossal con effetti speciali da film di fantascienza, impianti audio e luci di ultima generazione, linguaggi che scivolano dal teatro lirico al balletto moderno, dalla commedia al musical allo show televisivo fino al circo acrobatico. Non per nulla il produttore è David Zard, lo stesso di “Notre Dame de Paris”. Nel golfo mistico, però, c’è l’Orchestra del Festival Puccini, non un ensemble da musical, pur se ci si affida a cantanti-attori che sappiano ballare ed effettuare prove acrobatiche. E’ un’impresa puramente commerciale il cui esito dipende dalla risposta del pubblico, specialmente di quello giovane, in Italia ed all’estero.
Il midi è “Le Malentendu (Il malinteso)“ di Matteo D’Amico, tratto dall’omonimo dramma di Albert Camus. Lo scrittore francese ricorre all’essenzialità strutturale della tragedia greca: quattro personaggi in tutto chiusi nello spazio angusto di un unico luogo, il soggiorno e la camera di una locanda, nell’arco di poco più d'una giornata. Il lavoro di D’Amico è espressione vivida di questo senso di crisi. La scrittura musicale comporta un organico ristretto e in “bianco e nero”: cinque archi, una fisarmonica e un clarinetto. La fisarmonica è il nesso tra gli altri strumenti. La piccola orchestra è un tappeto sopra il quale scorre un canto in cui le parole fluiscono in declamati che si sciolgono in brevi momenti melodici (ariosi, duetti). Nulla a che vedere con l’altra novità italiana di questa estate :L’Imbalsamatore di Giorgio Battistelli- un melologo di un’ora e mezza sulla salma di Lenin (mentre viene imbalsamata) con un organico di 40 orchestrali e live electronics- abbastanza per mandare in dissesto un piccolo teatro. E fare scappare giovani (ed adulti) che poco si appassionano a Lenin ed alla sua salma. Anche “Le Malentendu (Il malinteso)“ merita di essere visto ed ascoltato non solo a Macerata; con un testo in lingua internazionale (ed ottima dizione di molti cantanti) , un organico ristretto al minimo merita una tournée in Italia ed in Francia, specialmente in una fase in cui è necessario mettere in scena spettacoli a basso costo – obiettivo che non sempre si ottiene riesumando allestimenti di 20-30 anni fa.
Il mini (o bikini) è il “Kafka Fragmente” di Geyorgy Kurtág, musicista ungherese giunto alla composizione in età relativamente tarda, in prima italiana a Rimini il 2-3 settembre. Dura circa un’ora e richiede unicamente un soprano ed una violinista, anche se nella terza parte si inserisce una ballerina sulla . E’ un’opera compiuta, pur se basata su “frammenti” di testi kafkiani. Kurtág (il quale vive nei pressi di Bordeaux) intende che la si rappresenti per strada. In Francia si è vista in teatri di Parigi, Orléans e Strasburgo. Con un budget risicatissimo (25.000 euro), il regista iper-risparmiatore Denis Krief compie ancora una volta il miracolo, analogo a quello che sempre a Rimini realizzò con la messa in scena della Passione secondo Matteo quale composta, per un organico in gran misura, di acqua ed altri elementi naturali dal più noto compositore cinese vivente, Tan Dum (“Water Passion”) In una sala piccola e non convenzionale ma affollata di ragazzi e di ragazze.
Kafka Fragmente giunge in un momento particolarmente importante non solo per le ragioni finanziarie-organizzative e per l’esigenza di andare verso un nuovo pubblico. Le origini e le caratteristiche del lavoro sono analizzate, con grande cura, dal musicologo Alessandro Taverna. Ci sono, però, due aspetti non citati da Taverna (pur nella sua approfondita ricerca) che meritano di essere ricordati. Gerhard Schweppenhäuser (docente di comunicazione e di teoria dei media, non di filosofia) ricorda in un libro su Theodor Adorno appena pubblicato in traduzione in inglese come il filosofo e musicologo tedesco considerasse l’”opera di strada” “L’Histoire du Soldat” di Igor Stravinsky come l’espressione più convincente dell’Europa distrutta dalla prima guerra mondiale : “un gruppo cameristico strapazzato dagli shocks” la cui “compulsione onirica” esprimeva distruzione fisica ed ideale. Inoltre, proprio in queste settimane, è uscito, per i tipi della casa editrice “Sguardo Mobile”, il saggio del giovane studioso Marco Federici Solari “Il demone distratto- Scrittura e personaggio nel primo Kafka”. Tanto la riflessione di Adorno, in Minima Moralia quanto il saggio di Federici Solari aiutano a comprendere Kafka Fragmente. E le ragioni per cui possa piacere ad un pubblico giovane. Non siamo certo alle prese con le distruzioni della Prima Guerra Mondiale, ma la crisi economica e finanziaria in atto (a cui ho dedicato alcuni spunti nel numero precedente del “Dom”) ci dice che un mondo di intendere il mondo e la stessa psicologia dell’”homo oeconomicus”, il calligrafismo di Kurtág (anche il giovane Stravinsky de L’Histoire è calligrafico) contrassegna un cambiamento in atto. Analogamente, i “frammenti” richiamano più una delle prime opere compiute di Kafka (Il disperso, conosciuto, però, in Italia con il titolo America) per il forte senso di ricerca in un contesto dove si avverte di avere perso l’idea di dove si va a parare e la strada per giungervi.


Il vostro “chroniqueur” è partigiano del “mini” . Ricorda una Staatsoper di Berlino colma di giovani, nell’inverno 2005, per ascoltare Seven attempted escapes from silence” (“Sette tentativi di fuga dal silenzio”), un libretto di Jonathan Safran Foer messo in musica da sette giovani compositori di Paesi e scuole musicali differenti. I mezzi utilizzati era pochissimi: le sette scene duravano complessivamente un’ora e mezzo. Che il Kafa Fragmente rilanciato in fondazioni liriche innovative e o in bolletta oppure attente agli equilibri di bilancio, possa ripetere l’exploit? Rammentiamoci sempre che l’opera è nata “da camera”- così venne pensata dalla Camerata Bardi.

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