Il 2009 sarà l’anno delle riforme. Oppure quello del declino. La crisi finanziaria ed economica internazionale sono uno stimolo, non un freno, alle riforme perché dimostrano, a tutto tondo, l’esigenza di un assetto istituzionale che consenta decisioni spedite per evitare che Governi e Parlamenti diventino subappaltanti della volatilità dei mercati. Un sistema presidenziale o semi-presidendenziale o con un premierato (in cui il Presidente del Consiglio non sia più un “primus inter pares”) diventa, nel quadro internazionale che si profila per i prossimi anni, un’esigenza non un mero aspetto d’ingegneria istituzionale, rinviabile sine die ad irrealizzabili “tempi migliori”. Rafforza il legislativo (in tutti i Paesi con un Esecutivo forte c’è un Parlamento robusto, e snello) e potenzia il federalismo (in tutti i Paesi federali ben funzionanti esiste una chiara divisione di poteri con organi centrali dello Stato in grado di essere un efficiente interfaccia agli elementi federali ed un’efficace espressione della Nazione rispetto al resto del mondo). La riforma istituzionale deve includere la magistratura per porre rimedio a quella che in tutte le sedi internazionali viene considerata un’anomalia italiana , le cui ragioni storiche, valide nel 1946-48, ci pongono adesso al di fuori del resto dell’Ocse e rendono più difficile una risposta adeguata e tempestiva alle sfide economiche e sociali di questo primo scorcio di XXI secolo.
Dunque, le tre maggiori riforme istituzionali (rafforzamento di Governo e Parlamento, federalismo, riforma della magistratura con separazione di carriere) non hanno differenti priorità politiche o temporali, ma devono essere definite ed attuale simultaneamente. Ed al più presto.
Sono essenziali, infatti, per le riforme economiche necessarie per rimettere l’Italia in marcia ed alleviare la situazione delle categorie più fragili: a) riassetto degli ammortizzatori sociali e della previdenza (Brunetta ne ha fornito il grimaldello, come visto su Il Tempo del 23 dicembre); b) rilancio delle privatizzazioni (Roma sta dando il buon esempio con quelle di Cinecittà Studios e di Tirrenia), c) liberalizzazione dei servizi pubblici locali (il cui funzionamento incide sulla vita d’individui, famiglie ed imprese); d) rivisitazione della regolazione e vigilanza in materia finanziaria (resa urgente dalla crisi finanziaria); c) ripensamento della normativa lavoristica per andare dalla cinquantina di fattispecie di rapporti di lavoro a un contratto unico e non frammentare i dipendenti tra pochi a tempo indeterminato e molti in una giungla di varie forme e guise di precariato.
In un saggio recente, Alberto Alesina e Silvia Ardagna (ambedue a Harvard) e Vincenzo Galasso (Bocconi) documentano come l’euro non è stato la molla per le riforme come giudicato da Ciampi e da Prodi. Ce lo aveva già detto Shakespeare nel primo atto del “Giulio Cesare”: “Il futuro non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi”.
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