mercoledì 17 dicembre 2008

IL RITORNO DEL “BELCANTO”, L'Attimo Fuggente dicembre

La stagione lirica 2008-2009 appena iniziata (molti teatri hanno adottato la prassi di articolarla sull’anno solare) è cominciata all’insegna del “belcanto”. Ha dato il via la piccola Jesi, presentando in “prima mondiale” l’edizione originale (mai rappresentata nel 1732, a ragione della morte del protagonista (un castrato allora di grande fama) e riscrittura radicale degli aspetti vocali del lavoro per adattarlo ai cantanti disponibili nella compagnia ) de “La Salustia”, prima opera di Pergolesi. Ha continuato l’Accademia di Santa Cecilia con un Festival (12-29 settembre) di “belcanto” – una serie di concerti vocali ed una produzione di “Norma” di Vincenzo Bellini. Al Massimo di Palermo va in scena dal 21 al 28 settembre un nuovo allestimento del belliniano “I Puritani” (che sarà in scena a Bologna la prossima primavera, a Cagliari all’inizio dell’estate, al Festival di Savonlinna in Filandia in luglio ed al Bunka Kaikan di Tokio nell’autunno 2009 ). Con “I Puritani”, secondo la “Storia della Musica” di Giovanni Confalonieri, il “belcanto” tocca “zone più ed inaccese”. Pergolesi è ai primordi del “belcanto”, “I Puritani” sono alla vigilia del suo superamento, con il melodramma donizettiano, pur ancora carico di “belcanto” e soprattutto quello verdiano. Nel contempo, un’altra nuova produzione de “I Puritani” prende il via a Bergamo in ottobre per approdare a Sassari ed in altre città. A Napoli, dove il San Carlo è in restauro, il 2008 si è chiusa con la prima rappresentazione, il 27 settembre, de “L’Italiana in Algeri” di Rossini (altro esempio di “belcanto”) all’Auditorium Rai; le repliche sono proseguite in ottobre.
Il melomane itinerante ha potuto, in un mese, avere una panoramica abbastanza completa di uno stile, piuttosto che di una scuola, di teatro in musica che ha caratterizzato oltre secolo (dall’inizio del Settecento alla seconda decade dell’Ottocento) ma le cui caratteristiche permeano anche alcuni aspetti del melodramma ottocentesco. Dimenticato in gran misura sino al 1950 o giù di lì, è in corso una graduale rivalutazione, specialmente presso il pubblico più giovane: si pensi in Italia alla “renaissance” del Rossini “serio”, a Londra alle file di spettatori per gli spettacoli della Händel Society, a Zurigo al successo inaspettato (tra i trentenni) della messa in scena dell’händeliano “Il Trionfo del Tempo sul Disinganno”, un “oratorio quaresimale” rappresentato come un dramma odierno di rapporti tra due giovani coppie nonché all’applauso nel Nord America ed in Estremo Oriente .
Nel 2009, in Italia, si ascolterà “belcanto” alla Scala (dove viene presentato un altro vertice del “belcantismo”: “Il Viaggio a Reims” di Rossini), a Firenze (“L’Elisir d’Amore” di Donizetti), a Venezia (“Maria Stuarda” di Donizetti) , a Bologna (“La Gazza Ladra” di Rossini oltre a “I Puritani” già ricordati), a Bari (“Norma” di Bellini), a Catania (“Don Gregorio” di Donizetti), a Torino (“L’Italiana in Algeri di Rossini, “Don Pasquale” di Donizetti, “Aci, Galateo e Poliremo” di Händel), a Parma (“Lucia di Lamermoor” di Donizetti). Questi sono unicamente alcuni titoli dei molti in programma. Si tenga presente che, al momento in cui viene scritta questa nota, alcune fondazioni liriche e quasi tutti i “teatri di tradizione” non hanno ancora presentato la loro programmazione per il 2009. Se si scorre il principale sito internazionale dedicato alla lirica www.operabase.com (dove sono riportati i cartelloni di tutti i maggiori teatri d’opera al mondo) ci si accorge che il fenomeno non è unicamente italiano: anzi, è molto più diffuso in Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti e sta prendendo piede in Estremo Oriente (specialmente in Giappone e da quella Corea da cui provengono molti “belcantisti” che negli ultimi anni hanno mietuto successo sui palcoscenici internazionali)-
In primo luogo, cosa s’intende per “belcanto”? E’ una tecnica di canto virtuosistico caratterizzata dal passaggio omogeneo dalle note gravi alle acute e da agilità nell'ornamentazione e nel fraseggio. E’ caratterizzato dalla perfetta uniformità della voce, da un eccellente legato, da un registro lievemente più alto del consueto, da un'incredibile flessibilità e da un timbro morbido. La maggiore enfasi posta sulla tecnica, rispetto al volume, fa sì che il “belcanto” sia associato ad un esercizio atto a dimostrare la bravura: il cantante sarebbe in grado di reggere una candela accesa davanti alla bocca e di cantare senza far oscillare la fiamma. Sparisce anche se non completamente con il melodramma verdìano, ma, ancor prima, è travolto dal teatro in musica di Mozart – dalle stesse “opere serie” come “Idomeneo” e “La Clemenza di Tito” (il cui libretto era stato scritto da Metastasio cinquanta anni prima che il Salisburghese ci mettesse le mani e che era già stato messo in musica più volte, nel Settecento, da compositori “belcantisti”).
Perché l’autunno italiano 2008 all’insegna del “belcanto” è sintomo di una nuova primavera di questo stile di teatro in musica (che inizia con Maria Callas negli Anni 50, si afferma negli Anni 60 e 70 con cantanti americani – Marylin Horne, Lella Cuberli, Beverly Sills, Chris Merrit, Rockwell Blake – e australiani – Joan Sutherland - rifiorisce con voci italiane negli Anni 80 – Lucia Valentini Terrani, Cecilia Gasdia - si incardina in voci giovani – Juan Diego Flòrez, Daniela Barcellona, Francesco Meli, Maxim Miranov – nel primo scorcio di XXI secolo ed attira (utile consultare i blogs specialistici) nuove generazioni che spesso tengono a distanza altre forme di teatro in musica?
A mio avviso alla base dell’interesse del pubblico giovane ci sono due elementi. Il primo è socio-politica: il “bel canto” è connaturato ad un secolo circa, al tempo stesso, di trasformazioni e d’ambiguità – dall’inizio del Settecento alla vigilia della formazione dello Stato nazionale (in Italia), passando attraverso illuminismo e rivoluzioni. Lo coglie bene l’allestimento de “La Salustia” (del francese Jean-Paul Scarpetta): una Roma (ma il riferimento è alla Napoli settecentesca) formalmente austera, ma dove s’intriga per il potere sotto la doccia ed i mariti più virtuosi non esitano ad amoreggiare, bisessualmente, con giovinetti. Trasformazioni ed ambiguità (intrise d’incertezza pure sulla propria sessualità) non sono molto distanti dal clima che le nuove generazioni respirano oggi. Il secondo elemento è probabilmente più tecnica: il virtuosismo del “belcanto” non è così lontano (i musicologi non si adombrino) da quello dei cantanti pop, ossia dalla musica giovane.
Soffermiamoci sul nuovo allestimento de “I Puritani”, che – come si è detto- dopo Palermo andrà in altre città italiane, nonché in Finlandia e Giappone. E’ un’opera in cui la melodia belliniana rifulge in tutto il suo splendore e nella sua ricchezza di sfumature. E’ stata, per lustri, raramente rappresentata proprio per le difficoltà vocali (le acrobazie del soprano nella “scena della pazzia”, i do acuti ed i re maggiore del tenore, i duetti, terzetti e quartetti che scivolano in concertati). Ultima opera di Bellini, “I Puritani” è basata su un libretto piuttosto improbabile in cui amori, intrighi, tradimenti (finti o presunti), e pazzia ai tempi delle guerre Cromwell con colpo di scena e lieto fine. De Chirico ne firmò un allestimento (rivisto a Roma alla fine degli Anni Ottanta) in cui l’astrusa vicenda era trasformata in un gioco di carte - una fazione erano i “quadri” e l’altra i”cuori”- quasi a sottolineare l’irrilevanza del testo del Conte Pepoli, patriota in esilio a Parigi. Trasformare in gioco di carte il conflitto tra i protestanti e i cattolici di Stuart vuole dire quasi ridurre la storia ad un computer game, di quelli che appassionano anche i più giovani.
L’allestimento di Pier’Alli non segue la lezione di De Chirico; concepito per una lunga tournée (e per un pubblico, come quello giapponese, che ama messe in scena tradizionali), nonché pensato all’insegna dell’economia dei costi e dell’”esportar cantando” del “made in Italy”, il grigio di una Plymouth nebbiosa domina i primi due atti, mentre il verde e l’azzurro ne caratterizzano il terzo. Veloci siparietti e proiezioni facilitano l’adattamento a palcoscenici di varie dimensioni.
Sotto il profilo musicale, la concertazione di Friederich Haider (autore di una buona incisione dell’opera), dilata i tempi per dare risalto all’atmosfera melanconica (di un Bellini 35nne ma già molto malato). Grande successo della protagonista ­ la bella e giovanissima Désirée Rancatore che debuttava nel ruolo e già da diversi anni è sulla scena internazionale tra gli astri del “belcantismo” della nuova generazione; palermitana, il pubblico le concede più applausi a scena aperta di quelli che le attribuirebbe il critico. Sublime in certi momenti, ma un po’ sciatta in altri; sulla cresta dell’onda da quando aveva 20 anni (e debuttò all’improvviso a Palermo nel “Rosenkavalier” nel 1998 ) dovrebbe contenere le offerte che le giungono da tutto il mondo ed evitare ruoli (quelli verdiani- è stata Gilda nel “Rigoletto” a Verona e riprenderà questo ruolo nel Festival dedicato da Parma al Cigno di Busseto) ancora poco adatti alla sua vocalità così delicatamente “belcantistica”. Ottimo il registro, la tessitura, il fraseggio e la sparata dei “do” e dei “re” di José Bros nel primo atto, ma una stecca nel duetto del terzo atto lo ha costretto a rifuggiarsi nel falsetto, scontentando, e scatenando, il pubblico. Nelle repliche ed in tournée, senza lo stress della “prima”, dovrà evitare i numerosi trabocchetti di un ruolo terrificante. Carlo Colombara conferma di essere un basso di coloratura di livello. Marco De Felice di essere un baritono di cui si parlerà nei prossima anni. Buoni gli altri, specialmente il coro guidato da Miguel Fabián Martínez. Chi ha perso lo spettacolo a Palermo (in scena sino al 28 settembre) potrà gustarlo a Bologna, a Cagliari. Oppure in Filandia od in Giappone – prima che nel 2010 ritornerà in Italia.

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