sabato 6 dicembre 2008

TRA SCENE E COLPI DI SCENA STASERA SI INAUGURA LA NUOVA STAGIONE DELLA SCALA, 8 Dicembre

Tra scene e colpi di scena stasera si inaugura la nuova stagione alla Scala
Questa sera 7 dicembre, Sant’Ambrogio, viene inaugurata con una nuova produzione di “Don Carlo” di Verdi la stagione 2008-2009 del Teatro alla Scala. Un’inaugurazione che nasce già sotto i segni di numerosi colpi di scena: l’ultimo c’è stato a poche ore dall'alzata del sipario con la sostituzione del Don Carlo che non sarà Giuseppe Filianoti ma il tenore americano Stuart Neill, che fa parte del secondo cast. Lo spettacolo inizia alle 18; nonostante – come si vedrà meglio in seguito- sia stata scelta la versione più brevi delle tre allestite sotto gli occhi vigili del compositore, dura (con due intervalli) circa quattro ore e mezzo. Alle 23, 800 fortunati parteciperanno ad una cena di gala. L’inaugurazione effettiva, però, si è svolta il 4 dicembre (sempre dalle 18 alle 22,30). L’anteprima di solito riservata a parenti delle maestranze e critici , quest’anno è stata dedicata ai giovani. Per acquistare i biglietti occorreva avere meno di 26 anni (documenti alla mano); prezzo unico €10 (tranne un numero limitato di posti per figli di papà in palco reale a €200). I biglietti venduti via Internet sono esauriti in 5 minuti. Sala, palchi e loggione pieni di ragazzi e ragazzi (molti dei quali mai entrati in un teatro d’opera) con un numero limitato di posti (poco visibili) per critici e quegli intellettuali che non intendono mettere lo smoking. Ai critici sono stati distribuiti consueti fogli di regole sull’embargo: non deve uscire nulla sui giornali prima del mattino dell’8 dicembre. Hanno avuto l’effetto delle grida manzoniane. Ormai di questo “Don Carlo” (in scena a Milano sino al 15 gennaio ed in settembre in Giappone) si sa tutto, Grazie al tam tam di ragazzi entusiasti che si sono riversati nel McDonald’s in Galleria. E di giornalisti che non osservano le regole.Stéphane Lissner è un diavolaccio. La sua autobiografia (“Métro Chapelle”) mostra come sia determinato a risolvere situazioni difficili con idee brillanti. Questa stagione La Scala propone una stagione senza infamia e senza lode ma l’idea (un vero e proprio uovo di Colombo) di una “Primina” in jeans (non mancava qualche abito elegante), ha già travolto il clamore di Sant’Ambrogio.I giovani hanno accolto il “Don Carlo” loro offerto con entusiasmo: applausi a scena aperta e 6 minuti di ovazioni alle fine. Ma cosa è stato loro propinato? Delle tre versioni dell’opera curate da Verdi (rispettivamente per la prima nel 1867 a Parigi, per la prima italiana a Milano nel 1884 e per una ripresa a Modena nel 1886), si mette in scena un’edizione “critica” (vengono aggiunti alcuni minuti della partitura del 1867) che è in sostanza la versione del 1884 (comunemente chiamata il “Don Carlo-Scala”). Si tratta d’altronde della versione in quattro atti di solito rappresentata (con alcune variazioni) in Italia, sopratutto per ragioni di durata e di accordi sindacali sull’ora in cui fare scattare la paga doppia (la versione parigina del 1867 comporta quasi 6 ore di spettacolo). Il Metropolitan, l’Opéra, il Convent Garden , la Staatsoper di Berlino e i teatri di Vienna e Monaco tendono a seguire l’edizione di Modena in 5 atti e con ballabili – vista di recente a Torino ed a Firenze. Il primo atto (eliminato nel 1884 ma ripreso nel 1886) è essenziale per una lettura politica del lavoro.Sotto il profilo musicale, le tre versioni del “Don Carlo” sono un percorso tra il melodramma di metà Ottocento e gli ultimi drammi in musica verdiani (“Aida” e “Otello”), ponte verso il Novecento. Il “Don Carlo-Scala” è il più compatto delle tre versioni; il quadro storico-politico vi assume un ruolo secondario rispetto al rilievo che ha nelle altre due. Nei sette quadri s’intrecciano i temi della fragilità del potere, dell’intolleranza religiosa, degli amori proibiti, dell’amicizia virile leale sino alla morte. L’intreccio, tratto da un dramma di Schiller, è la complicata vicenda dell’amore tra Elisabetta di Valois, moglie di Filippo II , con l’”infante” Don Carlo (figlio di primo letto del Re) nel più vasto contesto della decadenza degli Asburgo di Spagna. Sul tema principale s’innesca, da un lato, quello della guerra d’indipendenza delle Fiandre e, dall’altro, quello dei limiti dello stesso potere assoluto del Re rispetto a quello (ancora più cogente) della Chiesa (che opera tramite il Grande Inquisitore). A differenza delle altre due versioni il “Don Carlo-Scala” è quello più “politically correct”: parla in sostanza di corna (desiderate ma non consumate) , non mostra (come gli altri due) il disfacimento di una società (la Spagna di fine Cinquecento) e lo strapotere dell’Inquisizione . Soprattutto non evidenzia il feroce anti-clericalismo di Verdi, comune a molti intellettuali del Risorgimento (in gran misura conseguenza della “questione romana”). La regia e le scene di Stéphane Braunschweig e i costumi di Thibault van Craenenbroeeck sono stilizzati, con accento sul dramma interpersonale più che su quello politico. Uno spettacolo molto differente da quello che mi introdusse al lavoro nel 1965 al Teatro dell’Opera di Roma: la regia e le scene erano di Luchino Visconti (è stato ripreso nella capitale nel 1986 ed a Firenze nel 2004) in cui la grandiosità ed il lusso traboccante mostravano la decadenza degli Asburgo di Spagna – una lettura, quindi, eminentemente politica. La direzione musicale era affidata a Carlo Maria Giulini..Anche il “Don Carlo-Scala” comporta una produzione complessa. C’è bisogno di sei grandi voci, di 18 comprimari, di un doppio coro, tutti versati sia nel melodramma sia nel dramma in musica. L’ultimo allestimento alla Scala risale al 1992, quando Pavarotti steccò clamorosamente – una stecca che inizio il suo declino. Osservando l’embargo non diciamo una parola di più. E’ bene che i giovani sappiano di aver visto ed ascoltato il Verdi censurato nella Milano bigotta di fine Ottocento- da lui stesso coretto nella più liberale Modena due anni più tardi.

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